Vangelo

La grazia di Gesù è per tutti

Mt, 11,25

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli».

Porgere l’altra guancia

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Parole del Santo Padre

Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano. È la novità cristiana. È la differenza cristiana. Pregare e amare: ecco quello che dobbiamo fare; e non solo verso chi ci vuol bene, non solo verso gli amici, non solo verso il nostro popolo. Perché l’amore di Gesù non conosce confini e barriere. Il Signore ci chiede il coraggio di un amore senza calcoli. Perché la misura di Gesù è l’amore senza misura. Quante volte abbiamo trascurato le sue richieste, comportandoci come tutti! Eppure il comando dell’amore non è una semplice provocazione, sta al cuore del Vangelo. Sull’amore verso tutti non accettiamo scuse, non predichiamo comode prudenze. Il Signore non è stato prudente, non è sceso a compromessi, ci ha chiesto l’estremismo della carità. È l’unico estremismo cristiano lecito: l’estremismo dell’amore. (Omelia, Corso Vittorio Emanuele II (Bari), VII Domenica del Tempo Ordinario, 23 febbraio 2020)

Peccato e peccatore

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,1-10
 
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Parole del Santo Padre

Anche noi saremmo rimasti scandalizzati da questo comportamento di Gesù. Ma il disprezzo e la chiusura verso il peccatore non fanno che isolarlo e indurirlo nel male che compie contro sé stesso e contro la comunità. Invece Dio condanna il peccato, ma cerca di salvare il peccatore, lo va a cercare per riportarlo sulla retta via. Chi non si è mai sentito cercato dalla misericordia di Dio, fa fatica a cogliere la straordinaria grandezza dei gesti e delle parole con cui Gesù si accosta a Zaccheo. (Angelus, 3 novembre 2019)

Moralismo (fariseismo)

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Spiegazione

Al tempo di Gesù dire “farisei e pubblicani” era un modo per dire “i migliori e i peggiori”. Gesù pronuncia questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.

Il fariseo della parabola è un osservante scrupoloso delle norme della legge e, anzi, fa anche più di quello che è prescritto. Per esempio, digiuna due volte a settimana, quando il precetto lo richiedeva solo una volta. Nel parlare di sé dice il vero, ma è ripiegato su sé stesso e sul confronto di sé con gli altri che disprezza e giudica duramente. Afferra la sua giustizia come un credito di fronte a Dio, dando per scontata la ricompensa per il suo operato.

Dall’altro lato c’è un pubblicano. Questi erano personaggi di fama pessima, collaboravano con l’Impero romano riscuotendo a loro nome le tasse, erano considerati peccatori pubblici. Egli prega battendosi ripetutamente il petto, il gesto di chi si riconosce peccatore e le parole che rivolge a Dio sono poche, essenziali: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

La conclusione di Gesù è netta: la preghiera del peccatore è accolta, quella del giusto no. Del resto, il fariseo non ottiene nulla perché nulla aveva chiesto, nella preghiera aveva solo parlato di sé. Il pubblicano, invece, ha la consapevolezza di non poter pretendere nulla da Dio, non ha nulla da vantare, nulla da esigere. Può solo fare affidamento sulla sua misericordia. Questa è l’umiltà elogiata da Dio. La giustizia, che il fariseo credeva di ottenere per merito, è ottenuta per dono dal pubblicano.

Gesù non afferma che il fariseo avrebbe dovuto vivere come il pubblicano. Le sue opere sono buone e buone restano. Non sono queste che critica, ma piuttosto il modo di considerarle. Per questo, il cuore umiliato nella richiesta di perdono ha avuto più forza della giustizia del diritto. L’uomo di fede non è un perfetto ma un “peccatore amato”.

Il pubblicano era più ricco del fariseo, ricchezza che aveva guadagnato in modo poco onesto, ma ciò non era rilevante perché per Gesù contano solo le qualità del cuore.

Il pubblicano non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo. “Alzare gli occhi” nella Bibbia significa contemplare la gloria di Dio, qualcosa per il quale l’uomo della parabola non si considerava degno. Tiene lo sguardo basso, nel pentimento per il suo peccato, ma è proprio lì che incrocia lo sguardo di Gesù, che per amore di lui, si è messo ancora più in basso.

Diventare come i bambini

Dal Vangelo secondo Matteo 18,1-4

In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.

Gratitudine

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17.11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Parole del Santo Padre

Questo racconto, per così dire, divide il mondo in due: chi non ringrazia e chi ringrazia; chi prende tutto come gli fosse dovuto, e chi accoglie tutto come dono, come grazia. Il Catechismo scrive: «Ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento» (n. 2638). La preghiera di ringraziamento comincia sempre da qui: dal riconoscersi preceduti dalla grazia. Siamo stati pensati prima che imparassimo a pensare; siamo stati amati prima che imparassimo ad amare; siamo stati desiderati prima che nel nostro cuore spuntasse un desiderio. Se guardiamo la vita così, allora il “grazie” diventa il motivo conduttore delle nostre giornate. Tante volte dimentichiamo pure di dire “grazie”. (Udienza generale, 30 dicembre 2020)

Dolore, gioia e amore

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,20-23a

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

Parole del Santo Padre

La croce è il passaggio obbligato, ma non è la meta, è un passaggio: la meta è la gloria, come ci mostra la Pasqua. E qui ci viene in aiuto un’altra immagine bellissima, che Gesù ha lasciato ai discepoli durante l’Ultima Cena. Dice: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Ecco: donare la vita, non possederla. E questo è quanto fanno le mamme: danno un’altra vita, soffrono, ma poi sono gioiose, felici perché hanno dato alla luce un’altra vita. Dà gioia; l’amore dà alla luce la vita e dà persino senso al dolore. L’amore è il motore che fa andare avanti la nostra speranza. Lo ripeto: l’amore è il motore che fa andare avanti la nostra speranza. E ognuno di noi può domandarsi: “Amo? Ho imparato ad amare? Imparo tutti i giorni ad amare di più?”, perché l’amore è il motore che fa andare avanti la nostra speranza. (Udienza generale, 12 aprile 2017)

Il comandamento più importante

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 22,34-40

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Gesù e la Maddalena

Cristo si è innamorato di una prostituta! E cosa fa? Non potendo essa salire in alto, lui è disceso in basso. Entrato nella casa di lei, la vede ubriaca. Come è entrato? Non nella sua nuda condizione divina, ma in quella della prostituta, perché vedendolo essa non fosse presa da timore, né sfuggisse via. La trova coperta di ferite, diventata selvatica, in balia dei demoni. E cosa fa? La prende, sí la prende in moglie. E cosa le dà? Un anello! L’anello del­lo Spirito Santo. Lei però dice: “Ma sono peccatrice, sono sporca”. “Non temere, sono un medico!”. L’amante che follemente ama non si arresta alla forma, perché l’amore folle non vede difformità. Per questo è amore folle, perché spesso ama anche ciò che è difforme. Cosí fa Cristo: la vede difforme, la ama follemen­te e la fa creatura nuova. Come un pastore la pasce, come uno sposo la prende in moglie, come un altare le fa grazia, come un agnello si sacrifica per lei. O Sposo che rendi bella la difformità della sposa!

San Giovanni Crisostomo, Omelia seconda su Eutropio, II