Abolire subito scuola media d’obbligo e tv – Pasolini

Dall'articolo "Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia" del 18 ottobre 1975

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[…] Che cos’è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo? Che cos’è che ha trasformato le «masse» dei giovani in «masse» di criminaloidi?

L’ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una «seconda» rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la «prima»; il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo «reale», trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c’è più scelta possibile tra male e bene.

Donde l’ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta dall’assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c’è stata in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c’è stata: la scelta dell’impietrimento, della mancanza di ogni pietà.

Si lamenta in Italia la mancanza di una moderna efficienza poliziesca contro la delinquenza. Ciò che io soprattutto lamenterei è la mancanza di una coscienza informata di tutto questo, e la sopravvivenza di una retorica progressista che non ha più nulla a che fare con la realtà.

Bisogna oggi essere progressisti in un altro modo; inventare una nuova maniera di essere liberi, soprattutto nel giudicare, appunto, chi ha scelto la fine della pietà. Bisogna ammettere una volta per sempre il fallimento della tolleranza. Che è stata, s’intende, una falsa tolleranza, ed è stata una delle cause più rilevanti nella degenerazione delle masse dei giovani. Bisogna insomma comportarsi, nel giudicare, di conseguenza e non a priori (l’a priori progressista valido fino a una decina d’anni fa).

Quali sono le mie due modeste proposte per eliminare la criminalità? Sono due proposte swiftiane, come la loro definizione umoristica non si cura minimamente di nascondere.

  1. Abolire immediatamente la scuola media d’obbligo.
  2. Abolire immediatamente la televisione.

Quanto agli insegnanti e agli impiegati della televisione possono anche non essere mangiati, come suggerirebbe Swift: ma semplicemente possono essere messi sotto cassa integrazione.

Abolire la scuola media d’obbligo

La scuola d’obbligo è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralistiche, anche nei casi migliori (cioè quando si invita adulatoriamente ad applicare la falsa democraticità dell’autogestione, del decentramento ecc.: tutto un imbroglio).

Inoltre una nozione è dinamica solo se include la propria espansione e approfondimento: imparare un po’ di storia ha senso solo se si proietta nel futuro la possibilità di una reale cultura storica.

Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero (cioè appartenente a un’altra cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è ben chiaro che chi ha fatto la scuola d’obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio di sapere, e si scandalizza di fronte a ogni novità).

Una buona quinta elementare basta oggi in Italia a un operaio e a suo figlio. Illuderlo di un avanzamento che è una degradazione è delittuoso: perché lo rende: primo, presuntuoso (a causa di quelle due miserabili cose che ha imparato); secondo (e spesso contemporaneamente), angosciosamente frustrato, perché quelle due cose che ha imparato altro non gli procurano che la coscienza della propria ignoranza.

Certo arrivare fino all’ottava classe anziché alla quinta, o meglio, arrivare alla quindicesima classe, sarebbe, per me, come per tutti, l’optimum, suppongo. Ma poiché oggi in Italia la scuola d’obbligo è esattamente come io l’ho descritta (e mi angoscia letteralmente l’idea che vi venga aggiunta una «educazione sessuale», magari così come la intende lo stesso «Paese Sera»), è meglio abolirla in attesa di tempi migliori; cioè di un altro sviluppo. (È questo il nodo della questione.)

Abolizione della televisione

Quanto alla televisione non voglio spendere ulteriori parole: ciò che ho detto a proposito della scuola d’obbligo va moltiplicato all’infinito, dato che si tratta non di un insegnamento; ma di un «esempio»: i «modelli» cioè, attraverso la televisione, non vengono parlati, ma rappresentati.

E se i modelli son quelli, come si può pretendere che la gioventù più esposta e indifesa non sia criminaloide o criminale? È stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo) concluso l’èra della pietà, e iniziato l’èra dell’edonè.

Èra in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente a essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore).

Ora, ogni apertura a sinistra sia della scuola che della televisione non è servita a nulla: la scuola e il video sono autoritari perché statali, e lo Stato è la nuova produzione (produzione di umanità).

Se dunque i progressisti hanno veramente a cuore la condizione antropologica di un popolo, si uniscano intrepidamente a pretendere l’immediata cessazione delle lezioni alla scuola d’obbligo e delle trasmissioni televisive.

Non sarebbe nulla, ma sarebbe anche molto: un Quarticciolo senza abominevoli scuolette e abbandonato alle sue sere e alle sue notti, forse sarebbe aiutato a ritrovare un proprio modello di vita. Posteriore a quello di una volta, e anteriore rispetto a quello presente. Altrimenti tutto ciò che si dice sul decentramento è scioccamente aprioristico o in pura malafede.

Quanto ai collegamenti informativi del Quarticciolo – come di qualsiasi altro «luogo culturale» – col resto del mondo, sarebbero sufficienti a garantirli i giornali murali e «l’Unità»: e soprattutto il lavoro, che, in un simile contesto, assumerebbe naturalmente un altro senso, tendendo a unificare una buona volta, e per autodecisione, il tenore di vita con la vita.

Pasolini, «Corriere della Sera», 18 ottobre 1975

Il «genocidio culturale»

Dalla risposta ad Alberto Moravia intitolata “Le mie proposte su scuola e Tv”, 19 ottobre 1975:

[…] La borghesizzazione fa parte della lotta di classe. Ed è per questo che io ho citato e cito fino all’ossessione l’espressione di Marx «genocidio», «genocidio culturale».

La classe dominante, il cui nuovo modo di produzione ha creato una nuova forma di potere e quindi una nuova forma di cultura, ha proceduto in questi anni in Italia al più completo e totale genocidio di culture particolaristiche (popolari) che la storia italiana ricordi.

I giovani sottoproletari romani hanno perduto (devo ripeterlo per l’ennesima volta?) la loro «cultura», cioè il loro modo di essere, di comportarsi, di parlare, di giudicare la realtà: a loro è stato fornito un modello di vita borghese (consumistico): essi sono stati cioè, classicamente, distrutti e borghesizzati.

La loro connotazione classista è dunque ora puramente economica e non più anche culturale. La cultura delle classi subalterne non esiste (quasi) più: esiste soltanto l’economia delle classi subalterne.

E ho ripetuto già un’infinità di volte in questi miei maledetti articoli che l’atroce infelicità o aggressività criminale dei giovani proletari e sottoproletari deriva appunto dallo scompenso tra cultura e condizione economica: dall’impossibilità di realizzare (se non mimeticamente) modelli culturali borghesi a causa della persistente povertà mascherata da un illusorio miglioramento del tenore di vita.

Come i genocidi di Hitler

Dall’articolo “Il mio Accattone in Tv dopo il genocidio”, 8 ottobre 1975:

[…] Tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato: si è avuto un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione. E si tratta precisamente di uno di quei genocidi culturali che avevano preceduto i genocidi fisici di Hitler.

Se io avessi fatto un lungo viaggio, e fossi tornato dopo alcuni anni, andando in giro per la «grandiosa metropoli plebea», avrei avuto l’impressione che tutti i suoi abitanti fossero stati deportati e sterminati, sostituiti, per le strade e nei lotti, da slavati, feroci, infelici fantasmi. Le SS di Hitler, appunto. I giovani – svuotati dei loro valori e dei loro modelli – come del loro sangue – e divenuti larvali calchi di un altro modo di essere e di concepire l’essere: quello piccolo borghese.

Se io oggi volessi rigirare Accattone, non potrei più farlo. Non troverei più un solo giovane che fosse nel suo «corpo» neanche lontanamente simile ai giovani che hanno rappresentato sé stessi in Accattone. Non troverei più un solo giovane che sapesse dire, con quella voce, quelle battute. Non soltanto egli non avrebbe lo spirito e la mentalità per dirle: ma addirittura non le capirebbe nemmeno. […]

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