L’amore eterno e le spie, il piacere e la realtà – E.Aceti

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Lo psicologo Ezio Aceti, nel suo libro “I linguaggi del corpo”, capitolo intitolato “Il piacere e la realtà”, ci aiuta a comprendere il rapporto tra corpo e anima, nel viaggio alla scoperta dell’Io, partendo da una verità fondamentale: l’amore è qualcosa di noi che sa di eterno, mentre l’alternativa è solo una “rassegnazione”.

Ci illustra successivamente che non esiste alcun contrasto tra bisogni del corpo e dell’anima, in quanto due facce della stessa medaglia, perché la sfida a cui siamo chiamati è quella di comprendere qual è la giusta scala di priorità e di valori affinché l’Io – che si identifica in entrambe quelle facce – venga davvero scoperto.

Il corpo e il protagonismo dell’Io

Soffermiamoci sul titolo di un film di Carlo Verdone: L’amore è eterno finché dura.

La frase «l’amore è eterno finché dura”» è stimolante nella contraddizione delle sue due parti, entrambe vere, entrambe false, se strette così l’una con l’altra. Il fatto che sia anche un detto popolare costituisce una conferma: è un fatto che da sempre è tipico dell’amore profondo dichiarare «eterno amore».

Viene spontaneo e ciò fa pensare a qualcosa di naturale, innato, che viene da dentro, che è nel profondo. In quei momenti speciali affiora, siamo certi che è in noi. Lo si chiami anima o altro. Comunque è qualcosa di me che sa di eterno, di libero da vincoli del tempo, che invece sa di morte con il suo cominciare e finire dall’inizio alla fine.

Questo dice la seconda parte della frase: “finché dura” (finché finisce di durare). Non è che si pensi subito alla fine ultima, ma a quel morire delle passioni umane in quanto vissute comunque nel tempo, nel giorno per giorno, ripetitivo fino all’abitudine (“la tomba dell’amore”).

Perché allora far prevalere nella frase quella parte, che sa di morte, se poi resta l’amaro della rassegnazione? Non si riesce proprio a far sparire quella parte di noi che dice: l’amore è eterno, anzi ci è cara come un vaso prezioso, pur se rassegnati al fatto che con il tempo finirà in pezzi. Con il tempo, cioè, è come se l’io si sentisse incarnato nel tempo fino a sentirsi lui temporaneo, temporalizzato, identificato con il tempo.

Ma è rassegnazione. Questo è il punto: non riesco a togliermelo dalla testa che l’amore è eterno. Ce l’ho nel sangue, non meno del pulsare del tempo, questo pensiero che l’amore è eterno: è, esiste, è reale in me, lo riconosco: sono io!

Come le due facce della stessa medaglia

Se pensiamo alla metafora delle due facce della stessa medaglia – una è sopra, ben visibile, l’altra sotto, invisibile: impossibile vederle insieme tutte e due; impossibile anche che esista una medaglia con una sola faccia -, riusciamo a comprendere chi è l’uomo.

Così è impossibile un Io “eroe di un solo mondo” (l’uomo a una sola dimensione) perché sarà sempre l’eroe dei due mondi. Ma, come con la medaglia, uno sarà sopra, ben visibile, l’altro sotto, invisibile.

È ancora il corpo a crearci questa situazione: il corpo che è spazio e tempo (e allora il sopra/sotto e il prima /dopo), il corpo che vede il visibile e non l’invisibile. E allora sopra è il visibile (più facile, più frequentato) e sotto l’invisibile in tutti i sensi fino a quel proverbio, significativo di un’infinita serie di guai, che dice «lontan dagli occhi, lontan dal cuore».

Ma la medaglia con le sue due facce è cosa inerte, come la metti sta. E allora la faccia “sopra”, bene in vista, non la dimentichi certo; mentre la faccia sotto, fuori vista, finisci con il dimenticarti com’è, anzi finisci con il dimenticarti che c’è.

Invece “l’uno di due” che siamo noi, esseri umani, è vivo, vibrante, pulsante, stimolante sia nella sua faccia “sopra (il corpo con le sue sensazioni) sia nella sua faccia “sotto” (l’anima con i suoi pensieri).

L’io, poi, ha di suo che sente fortissimo l’impulso a unificare il tutto, verso un’unità per compenetrazione (ecco perché si parla di corpo animato e anima incarnata). Molti, troppi, credono di sentirsi uno con una sola dimensione. Ma il corpo smentisce: è impossibile, come una medaglia con una sola faccia: non esiste.

Qui ci imbattiamo in un paradosso: da una parte le due facce della medaglia ci convincono: non possiamo non avere due padroni (i due mondi da servire al meglio), dall’altra un testo di buona antropologia (come può essere la Bibbia) dice: «Non potete servire due padroni». Allora uno va volto? No, perché – continua quel testo – «se amerete l’uno, l’altro lo odierete», cioè sarà trattato male, ma non eliminato. Il che è come dire, con le sue due facce della medaglia: se uno è “sopra” (servito bene, soddisfatto), l’altro sarà sotto (servito male, insoddisfatto).

Quindi i conti tornano e resta assodato: che l’io fa “uno di due” (due padroni, due diversi gruppi di stimoli da soddisfare); che l’io, libero com’è, si dà una regolata, si dà un ordine di priorità (chi prima e chi dopo), una scala di valori (chi sopra e chi sotto).

Questo ci porta a citare un altro passo biblico, dove è detto: «cercate prima il regno di Dio e – prosegue il testo con finissima psicologia – il resto verrà da sé».

A testimonianza di questa protesta si possono citare tutte le malattie psicosomatiche e psicologiche degli ultimi vent’anni. Pensiamo alle malattie della pelle, del linguaggio (del corpo come soma, tic, balbuzie, ecc.), del più profondo senso del vivere come la depressione e le varie sindromi di astinenza come la tossicodipendenza, l’alcolismo, la dipendenza dal gioco: cosa sono se non proteste di una realtà (parte della medaglia) nascosta e trascurata?

È dunque determinante il fatto che l’io a un certo punto si dà una regolata, si organizza, mette le cose a posto (al “suo” posto e non è detto che sia il “loro” posto naturale), fissa un suo ordine di priorità, stabilisce una sua scala di interessi (o gerarchia di valori). Ed è sempre il corpo con i suoi spazi e i suoi tempi a dare lo schema.

Un sotto/sopra, un prima/dopo che nel popolo genera proverbi come quel «prima il dovere e poi il piacere».

Persino le stupefacenti scoperte astronomiche che i nostri avi avrebbero goduto con lo stupore della contemplazione (e poi la poesia), sono oggi prese in considerazione come laboratorio di nuove tecniche, con relativo business.

Ma se il corpo è fatto padrone, s’innesca a un certo punto l’animalesca coazione a ripetere, sana negli animali, che non fanno sbagli arbitrari, ma non nell’uomo, che continua a ripetere i suoi errori. E se le tecniche sono sempre più sofisticate, chiaro che si arriva al punto che stiamo distruggendo il nostro pianeta e noi stessi, continuando a dire “bene del male e male del bene” perché è sempre un bene quel rivoltarsi della coscienza, ma viene chiamato “il male di vivere” (lo stress, la depressione) quel malessere del benessere, che è in realtà una spia accesa, un campanello di allarme: «non stiamo precipitando sempre di più da tutte le parti?», gridava F.Nietzsche all’inizio del Novecento (e ancora non sapeva delle due guerre mondiali e l’atomica e il consumismo coatto e il buco dell’ozono…).

Ma il responsabile di questo “sistema di vita” assurdo non è il corpo animale. Questa è la prima cosa da mettere in chiaro: gli animali hanno inserito nel loro programma biologico l’equilibrio individuo/ambiente (come gli studiosi scoprono negli ecosistemi).

Come mai, allora, l’animale umano rompe tutti gli equilibri, esagera, eccede nel consumare? Dove sta il «principio di esagerazione», se non si trova nel corpo? Il «principio di piacere» è anche negli animali, ma l’uomo lo fa diventare Io-piacere e allora il corpo è il padrone ed è l’anima a servirlo.

Così il corpo, studiato come fenomeno, ci porta davanti al “problema dei problemi” umani. Chi sopra e chi sotto nella scala dei valori? Chi prima e chi dopo?

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