Anne Schaub (psicoterapeuta) sull’orrore dell’utero in affitto

Un approfondimento sui danni da separazione per il bambino nato da GPA: un trauma dalle conseguenze bio-psico-sociali nefaste.

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Anne Schaub è una psicoterapeuta, specializzata nell’analisi e nel trattamento delle memorie prenatali e psico-genealogiche, dei traumi alla nascita e della prima infanzia.
Nell’aprile 2015 è uscita sul quotidiano belga La Libre Belgique una sua riflessione sui danni da separazione per il bambino nato da utero in affitto.

Articolo

Il dibattito sulla maternità surrogata (GPA) deve tornare a concentrarsi sul primo interessato: il bambino. Separarlo da colei che l’ha portato in grembo nove mesi, e alla quale si è attaccato, è una frattura traumatica dalle conseguenze bio-psico-sociali nefaste, per tutta la vita.

I dibattiti pubblici sulla pratica della GPA lasciano il più delle volte passare sotto silenzio l’esistenza del legame fondamentale che si stringe fra il bambino, la madre biologica e il padre biologico fin dal concepimento e lungo i nove mesi della gestazione. Ora, questo periodo è cruciale per la fondazione relazionale e la futura costruzione psichica e cognitiva del bambino, e per tutta la vita. L’esistenza del bambino quale essere relazionale inizia dal concepimento.

Le neuroscienze c’insegnano che l’amigdala, una piccola ghiandola a forma di mandorla situata nel cervello “affettivo” costituisce una sorta di “mappa della memoria emozionale” che registra gli impatti e gli ambienti affettivi sperimentati durante la gravidanza, e parimenti nelle circostanze perinatali. “L’amigdala non dimentica!” (Dr. Guenguen).

Nella GPA la cellula famigliare si trova disarticolata alla base della propria fondazione. In essa infatti osserviamo una serie di fratture dell’unità relazionale bio-psico-sociale uscita dalla relazione carnale feconda. Tutte queste fratture rendono inevitabilmente fragile il bambino nella costruzione della propria identità.

Nell’affittare il proprio utero la donna può decidere di non attaccarsi al bambino che porta in sé per qualcun altro; al contrario un embrione, un feto, un bambino non ha questa facoltà: per lui il processo di attaccamento che inizia fin dalla gravidanza è un processo biopsichico naturale che ha l’obiettivo di cercare prossimità, protezione e sicurezza presso l’adulto che lo porta.

Da quel momento separare il bambino da colei che l’ha portato in grembo nove mesi e alla quale si è attaccato è per il bambino una rottura traumatica. Ugualmente le condizioni frammentarie nelle quali è concepito lasciano una traccia indelebile e rilevante nello psichismo e nella storia psicosociale del bambino. Gli viene quindi inflitto un danno esistenziale da separazione. Senza parlare della privazione essenziale della madre o del padre nel caso di una coppia di uomini o di donne.

Ho potuto costatare che dietro a tutte le separazioni, vissute soggettivamente in utero a partire da circostanze che fanno pensare al bambino di non essere il benvenuto (conflitti di coppia, lutti, mamma ansiosa dopo un aborto spontaneo che evita di attaccarsi al bambino nel timore di perderlo, stress di ogni genere o solitudine della madre che porta il bambino senza il sostegno del padre, ecc.), si pone come tela di fondo l’angoscia più arcaica inerente la nostra umanità: l’angoscia di abbandono.

Il bambino piccolo vive un’angoscia d’abbandono maggiore quando ha l’impressione soggettiva di perdere la madre o quando la perde realmente (oggettivamente). Dal momento che l’apparato psichico e intellettivo del bambino non è ancora dotato di ciò che in psicologia chiamiamo “permanenza del sé e dell’oggetto”, l’allontanamento della madre naturale dalla quale si è lasciato impregnare per nove mesi, crea nel neonato uno stress simile a un’angoscia di morte.

Il neonato non ha infatti ancora la maturità cognitiva sufficiente per spiegare in modo cosciente e razionale una situazione di allontanamento della madre che conosce da tanti mesi. In altre parole: “Mamma è me e io è mamma. Se non vedo più, non odo più, non sento più mamma vicino a me, perdo il senso della mia esistenza, vado in disperazione e rischio di morire!”.

La GPA investe in pieno la realtà del nascente legame reciproco madre-bambino, bambino-famiglia, provocando ai figli conseguenze bio-psico-sociali nefaste per tutta la vita. Inoltre l’impatto di tali condizioni di concepimento potrebbe toccare le generazioni successive e la società in generale.

Schaub si avvia al termine della sua analisi dicendo di volersi fare portavoce di quei bambini che non hanno alcuna voce per gridare questo grave pregiudizio inflitto in modo deliberato all’origine della loro vita, e ribadendo che se si distoglie lo sguardo dall’interesse dei bambini, come avviene con la GPA, a favore dell’interesse e del desiderio degli adulti, scivoliamo verso una società che si rende complice di fantasie umane che daranno vita in modo programmato a disturbi e patologie del legame, generatori di violenze psico-sociali.

Per tutti questi motivi, conclude la dottoressa, la GPA dovrebbe essere vietata per legge: in nome del principio di precauzione, dobbiamo mettere un freno allo sviluppo delle tecnologie che incoraggiano la GPA e vietarla per via giuridica. Si tratta di difendere gli elementi più vulnerabili della società. E chi è più vulnerabile dell’embrione, consegnato dalla natura al buon senso degli adulti?

I più piccoli sono i nostri adulti di domani, chissà, i nostri futuri dirigenti. Chi sarà trattato con rispetto, intelligenza e sensibilità ha forti speranze di poter trattare gli altri e il proprio ambiente con lo stesso cuore, con la stessa arte della conoscenza umana e del mondo.


Fonte: Le implicazioni dell’eterologa e dell’utero in affitto sui figli e sulla società: parlano gli specialisti su libertaepersona.org

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