Il coraggio (e le profezie) di Pasolini – Davide Rondoni

0
309

[Paolo Desalvo]

Ieri sera abbiamo cominciato a introdurci nel tema dell’inquietudine e del desiderio umano. Una cosa che mi sono portato via da ieri sera è la difficoltà dei giovani a rapportarsi con la realtà. La nostra società è una realtà molto performante, gioca tutto sulla riuscita e ci sono molti giovani che non si sentono all’altezza e vivono una sorta di autoesclusione sociale.

Il testimone ferito di un mutamento antropologico

Siamo di fronte veramente ad una mutazione antropologica e Papa Francesco diceva che non è un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca. Per leggere il cambiamento antropologico credo che ci possa aiutare guardare un altro cambiamento d’epoca come quello che ha vissuto Pier Paolo Pasolini verso la fine degli anni 60 e i primi anni 70.

Se parliamo di inquietudine non si può parlare di uno come Pasolini che era profondamente inquieto nel segno di una grande mancanza che attraversava la sua vita.

Lui secondo me è uno dei due grandi profeti che l’Italia ha avuto nel dopoguerra: dopo Cesare Pavese c’è anche Pier Paolo Pasolini. Due vite drammatiche, due morti tragiche: uno suicida, l’altro assassinato. Ma aldilà della loro morte, della morte di Pasolini, è interessante capire la sua vita, quello che lui ha vissuto.

Perché è attuale Pasolini? Io lo lascerei dire ad una cosa che avevo letto qualche anno fa al Meeting di Rimini, quando hanno fatto una mostra su Pasolini.

Perché Pasolini oggi? Perché Pasolini è un capitolo aperto della nostra storia. È un intellettuale il cui scrivere, pensare, filmare, dibattere è sempre stato segnato da una ferita profonda. Si può pensare che si trattasse di una ferita personale. In realtà se Pasolini è ancora così parola viva che brucia, anche a quasi 50 anni di distanza, è perché per destino si era fatto carico di una ferita collettiva. Pasolini è stato il testimone ferito di un mutamento antropologico dove un mondo veniva spazzato via violentemente da un altro, sul quale convergevano i consensi di mercato e ideologia. Ma cosa si è perso nel passaggio da un mondo all’altro? Non si tratta solo di un problema sociologico, ma è un cambiamento che ha investito innanzitutto la sua identità e la sua persona e che ha il segno drammatico di una mancanza. Pasolini ha saputo far forza sulla nostalgia di ciò che era perduto mettendo in azione un’intelligenza capace di smascherare, senza temere lo scandalo, tutte le ipocrisie del nuovo mondo vincitore. La forza di Pasolini sta dunque in questa coincidenza tra piano personale e piano pubblico. Per questo le sue parole, per quanto scaturite dalla sua esperienza di intellettuale senza patria, sono parole che pesano ancora sulla storia collettiva.

Pasolini era proprio il testimone ferito di un mutamento antropologico e il vedere venire a galla un altro potere, come lui descriveva, il potere di qualcosa che poteva mutare profondamente la struttura delle persone. Un potere che attraverso la televisione e i mezzi di comunicazione veniva propagato. Stasera ne parliamo con Davide Rondoni, poeta e scrittore.

[Davide Rondoni]

Non si può sintetizzare un autore così importante come Pasolini in poche cose. Io mi sono dedicato spesso alla sua figura, ho fatto conferenze, letture pubbliche e trasmissioni televisive, radiofoniche, quindi un po’ quel mondo lì lo conosco e so che è grande e contraddittorio.

Questa è la prima questione: un uomo è ferito perché accetta la contraddizione. Accetta sia quella personale (Pasolini era un uomo con delle deviazioni gravi, andava alla stazione di Termini a tirar su i ragazzini ed è morto anche per quello) e la contraddizione di un’epoca che, invece, alcuni volevano leggere in termini di progresso e di risoluzione delle questioni, mentre lui diceva «No!», c’è una faccenda invece contraddittoria.

Quindi una contraddizione personale e una contraddizione che è epocale. La vera contraddizione che Pasolini comincia a sentire è negli anni 50. Cambia l’Italia come altri luoghi del mondo perché una massiccia industrializzazione cambia la società.

Quella che era una società nei suoi fondamenti e a volte anche nei suoi riti, nel suo sentimento del tempo, nelle sue pratiche abbastanza simile da centinaia e centinaia di anni (la cultura contadina, la civiltà contadina, per dirla in maniera un po’ generica), negli anni 50 invece ha uno spostamento completo: la gente si urbanizza, le grandi industrie, quello che chiamiamo «il progresso», ecc…

Pasolini, nato nel ’22, si trova a vivere questa cosa da giovane uomo intellettuale, impegnato, sicuramente un ragazzo geniale che ha studiato presso l’università di Bologna, filologo di grande qualità, uomo assolutamente appassionato alla letteratura nel senso che Pasolini era innanzitutto un poeta.

Questo va sempre tenuto in mente perché i poeti, a differenza degli altri, non trattano gli argomenti della società, ma patiscono le cose. I poeti, quando parlano di un argomento, non è un argomento che stanno trattando, ma lo patiscono, lo vivono, lo attraversano.

Per questo Pasolini è così interessante anche rispetto ad altri che magari non dicevano cose molto diverse (Augusto Del Noce per dirne uno, o altri filosofi), ma Pasolini aveva probabilmente l’inquietudine e anche l’ardore di uno che i problemi li stava patendo personalmente. Non li trattava come un argomento da saggista.

Qual è la questione che Pasolini vede succedere negli anni 50? Che è accanto a questo mutamento sociale e quindi di costume, che poi arriverà a una sua prima espressione nel ’68, c’è qualche cosa di più profondo che sta succedendo, quella che viene chiamata «mutazione antropologica», cioè sta cambiando qualcosa di profondo nelle persone.

Cos’è che sta cambiando? È quello che lui chiamerà il nuovo fascismo, il Potere che sta convincendo che tutto è consumo, che tutto è consumabile, che tutto è misurabile in termini di consumo. Questa cosa non vale solo per i prodotti, per il mercato, ma comincia a valere per la persona intera.

Pasolini, andando contro anche le sue parti politiche (è sempre stato iscritto al PC tranne nella parentesi in cui lo cacciarono via per motivi di omosessualità, ma è sempre stato legato al PC, faceva parte di quel mondo), andando contro quel suo mondo, per esempio, si schierò anche contro l’aborto perché diceva che è un diritto che si fonda non sul «principio di realtà», ma sull’idea che si possa consumare l’eros.

Si accorge che c’è un nuovo potere che non è appena l’America o la Democrazia Cristiana. Lui capisce che è un potere con un volto quasi anonimo che usa altri poteri (i suoi famosi articoli sui democristiani che sono ormai delle figure vuote perché il potere non ce l’hanno più loro).

È un potere, quasi anonimo apparentemente, che però sta riducendo la vita delle persone a puro consumo. E che cosa si può opporre a questa idea che la vita è solo consumo? Cosa si può opporre a questo nuovo fascismo che, come lui dice, produce un potere molto più forte del vecchio fascismo? Pensate che Pasolini nel ’73 dice: è inutile continuare a parlare di fascismo.

Piccola premessa: Pasolini ha perso. Nella cultura italiana è tanto festeggiato, tanto onorato, quanto in realtà hanno vinto gli altri, hanno vinto quelli che ce l’avevano con lui. Pasolini nel ’73 diceva: è inutile continuare a parlare di fascismo in Italia perché il problema è un altro tipo di nuovo fascismo e invece siamo ancora qui alle polemiche sul fascismo.

Quali erano le caratteristiche di questo potere? Un’omologazione per cui il ragazzo borgataro di Roma ha gli stessi desideri del borghese dei Parioli. Vogliono tutti e due le stesse cose che è un certo tipo di vita.

Per cui anche i sessantottini che sembravano fare la rivoluzione in realtà stanno semplicemente cancellando il passato per conto dei loro padri che volevano una nuova epoca consumista.

Pasolini a Valle Giulia, quando c’è la rivoluzione dei sessantottini, si schiera con i poliziotti perché i poliziotti sono i veri figli dei poveri, mentre gli universitari che stanno facendo il ’68 sono invece i figli dei borghesi e non capiscono che stanno annullando la tradizione a cui i loro padri non vogliono più appartenere perché la tradizione diventava il problema rispetto all’epoca del consumo e quindi bisogna farla fuori.

In quella poesia dice infatti: non vi siete mai commossi per un minore del 400, non avete mai avuto lacrime intellettuali per un’opera d’arte sconosciuta. Vi siete affidati  – dice (profezia) – solamente ai sentimenti politically correct. Vuol dire che basta usare le parole buone e la realtà sembra a posto.

E l’organizzazione, cioè la burocrazia. Ma l’organizzazione – avvisava già allora – produce solo altra organizzazione. Infatti il ’68 ci ha regalato il mondo più burocratico di sempre come si vede in tutte le scuole, ospedali e professioni, perché ci si fida solamente dell’organizzazione.

Pasolini vede un uomo totalmente dominato dall’idea del consumo, del consumo anche del proprio corpo, dell’eros, cosa che lui viveva in maniera drammatica e per questo cerca di mettere in guardia la società italiana prendendo posizioni anche molte volte difficilmente – come tutti i poeti devono fare, facciamo nel nostro piccolo – difficilmente collocabile a destra, a sinistra, al centro, sotto, «ma è un cattolico», «no, è un comunista».

Tutti un po’ lo tirano per la giacca, ma non è uno schieramento quello che determina la posizione di un poeta. È quello che vede. Il mutamento antropologico Pasolini lo vede frequentando le borgate, frequentando dei ragazzi che lui amava e che vede piano piano diventare simili, nei desideri, ai ragazzi della Roma bene, quindi gli scompare davanti agli occhi anche un certo mito del sottoproletariato più puro degli altri.

C’è una famosa polemica che Pasolini fa in quegli anni su un famoso caso di cronaca, il delitto del Circeo, di cui furono accusati i ragazzi dei Parioli. Pasolini fece degli articoli in cui diceva: guardate che quel tipo di violenza lì non è frutto del fatto che questi qui sono dei salotti bene, sono fascisti, sono delle scuole cattoliche, perché anche nelle borgate c’è lo stesso tipo di violenza.

Quando fa questo articolo, l’intellighenzia dei comunisti di allora (cioè quelli che hanno vinto: Calvino, Scalfari e altri) lo trattano da deficiente. Gli scrivono delle cose contro violentissime.

Pochi anni fa è stato dato il Premio Strega e poi è stato fatto un film a un romanzo che si chiama «La scuola cattolica» e che esattamente riproduce la stessa tesi di allora contro cui Pasolini si scagliava. Quindi Pasolini ha perso perché hanno vinto gli altri, cioè ha vinto Calvino, ha vinto Eco, ha vinto Scalfari, cioè ha vinto un’altra parte della cultura italiana che ha dominato la comunità in questi anni e che allora dava a Pasolini del cretino perché osava dire queste cose un po’ scomode.

Solo il sacro si oppone al potere dei consumi

Pasolini diceva che il sottoproletariato è un mito perché la gente è tutta già invasa dalla stessa mutazione antropologica. Tant’è vero che Pasolini capisce, essendo anche un grande antropologo, che l’unica forza che si oppone al consumo non sarà più il marxismo storico ma il sacro, un sacro non trascendente ma un certo sentimento del sacro della vita. Lui lo dice: il mio sentimento della vita è sacro.

Cos’è il sacro? Il Sacro è quella cosa che appunto non si consuma. Il sacro è un’esperienza umana, è quella cosa per cui – diciamo così – tutto cambia ma il sacro permane. Le figure del sacro sono le figure che non si consumano, che appartengono a qualche cosa che non si tocca, che va rispettato, che si teme anche.

C’è un famoso poemetto che si chiama La terra desolata di T.S. Elliot scritto nel ’22, l’anno in cui nasce Pasolini. La terra desolata inizia con una scena dove ci sono i ragazzini che vanno di fronte alla Sibilla, quella figura meravigliosa nella nostra storia che transita al paganesimo al cristianesimo.

La Sibilla è in Virgilio ma anche nella Cappella Sistina di Michelangelo. Era una che stava tra l’aldiquà e l’aldilà. È una figura del sacro. Questi ragazzini vanno dalla Sibilla e dicono «cosa vuoi Sibilla adesso?» e lei dice «voglio morire».

La morte della Sibilla coincide con la desolazione della terra: La terra desolata. Se non c’è più il sacro, se non ci sono più le figure del sacro, tutto è consumabile, tutto appartiene alla logica del consumo. La scomparsa del sacro – capisce Pasolini, che veniva dalla tradizione cattolica che aveva la mamma – deriva dal fatto che nasce l’epoca del puro potere del consumo.

Quando sui muri di Roma comparvero pubblicità – che poi hanno fatto epoca – di blue jeans della Jesus dove si vedeva quel culo con lo slogan «chi mi ama mi segua», Pasolini dice: se a Roma può comparire un manifesto del genere vuol dire che un mondo è finito. E aveva ragione.

Perché a questa potenza del consumo la tradizione (anche cristiana) cosa opponeva? Un moralismo soffocante, un formalismo morto e un’incapacità di leggere queste cose. E Pasolini capiva che sia la tradizione marxista che quella cattolica non erano più le armi culturali – e quindi anche morali – per leggere il presente, per affrontarlo, per interpretarlo. In questo senso si trova un po’ da solo, un po’ sballottato e un po’ tirato di qua e di là.

C’è un’intervista di Pasolini in cui dice: io pensavo di aver inventato una parola, poi mi sono accorto che l’ha inventata Mircea Eliade, il più grande studioso di sacro e di storia delle religioni in Europa.

Mircea Eliade, in quegli anni in cui Pasolini rilascia questa intervista, in Italia non era pubblicato. Non si poteva pubblicare perché Einaudi, Calvino, eccetera, non volevano. Pavese voleva pubblicarlo, gli altri han detto di no.

Pasolini sta dicendo: io leggo Eliade, anche se in Italia non è pubblicato io lo leggo, quindi pensavo di aver inventato una parola, questa parola è «ierofania», ma l’aveva già inventata Eliade.

Con questa frasetta Pasolini ci sta dando due segnali:

  1. leggo un libro che in Italia non viene pubblicato.
  2. il mio riferimento è quello. Il problema è cosa è sacro, cosa possiamo ottenere come sacro, perché se non c’è quello tutto si consuma.

Oggi siamo alla fine di questa parabola che Pasolini aveva identificato e di cui ha identificato anche degli elementi per cui avviene questa parabola.

La libertà sessuale genera nevrotici

Uno di questi è la mercificazione del corpo. Capisce che anche una certa presunta liberalizzazione dell’eros in realtà è a scopo consumistico, non a scopo libertario. Pasolini dice:

«La società preconsumistica aveva bisogno di uomini forti e dunque casti. La società consumistica invece ha bisogno di uomini deboli e perciò lussuriosi».

«Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità della vita del consumatore».

«Il risultato di una libertà sessuale regalata dal potere è una vera e propria generale nevrosi. La facilità ha creato l’ossessione perché è una facilità indotta e imposta derivante dal fatto che la tolleranza del potere riguarda unicamente l’esigenza sessuale espressa dal conformismo della maggioranza»

Le stesse cose le dirà Bauman, un sociologo che oggi tutti citano, il quale dirà che una certa liberalizzazione sessuale, cioè l’idea che esiste il sesso senza nessuna lettura culturale antropologica, non ha liberato la sessualità, l’ha resa nevrotica.

Lo dico come tema da lasciare perché ormai questo è uno dei grandi temi del nostro tempo. L’eros nevrotico è una delle grandi fonti del disagio personale e sociale.

Così aveva capito che c’è qualche cosa in questa libertà indotta dal potere per cui devi essere così perché il modello è quello, non è una libertà che tu ti trovi, non è una libertà che tu vivi, ma è come un modello continuamente imposto. Oggi sui ragazzi questo è fortissimo. Questa cosa ha generato nevrosi – dice – non libertà. Si vede abbastanza bene in giro.

Questo consumo del corpo spiega anche la posizione sull’aborto, una delle questioni che fece più scandalo. Dice che effettivamente faceva parte dello stesso schema, cioè un uso del corpo senza responsabilità, come puro consumo.

Lo svuotamento della sinistra

Un altro elemento che Pasolini vede come uno dei vettori per questo passaggio ad un nuovo potere che consuma tutto è lo svuotamento della sinistra.

Pasolini muore il 2 novembre del ’75, viene ammazzato in circostanze ancora oscure. Un’idea che mi sono fatto io (ho studiato abbastanza queste cose) è che come accade per certi omicidi, compreso quello di Moro, sono in tanti che hanno interesse che uno muoia, non è uno che lo ammazza.

Diciamo che a un certo punto la morte di uno fa comodo a tanti per tanti motivi. Di certo lui era andato a prendere su un ragazzo alla stazione, l’aveva portato in quel posto e poi lì cosa è successo non si sa.

Il giorno dopo sarebbe dovuto andare a parlare al congresso del Partito Radicale. Non ci va, ma il discorso esiste e viene letto in sua assenza da un suo amico. In questo discorso sentite cosa dice Pasolini, rivolgendosi al Partito Radicale che stava facendo battaglie allora considerate estreme come l’aborto, ma erano battaglie sul campo:

«Io profetizzo l’epoca in cui il nuovo potere utilizzerà le vostre parole libertarie per creare un nuovo potere omologato, per creare una nuova inquisizione, per creare un nuovo conformismo e i suoi chierici saranno chierici di sinistra».

La Schlein. Quello che è successo al PD degli ultimi 20 anni che è diventato – come già profetizzava un grande intellettuale di allora come Augusto Del Noce – un partito radicale di massa dove i contenuti politici coincidono con una presunta idea di diritti libertari e non più con le questioni sociali.

Pasolini aveva già capito questo e dirà che i radicali hanno fatto battaglie su cui lui non era d’accordo perché lui era contro l’aborto, quindi non parlava a gente con cui era d’accordo, però considerava quelle battaglie almeno sincere, fatte sul campo.

Lui profetizza un momento in cui arriveranno invece grandi poteri. Il Pride è finanziato da tutti i più grandi e importanti gruppi economici del mondo. È una battaglia per i diritti? Se gli onnipotenti ti sponsorizzano, devi farti una domanda. Stai combattendo per i diritti o per che cosa?

Pasolini aveva visto che arriverà un nuovo potere che userà le vostre parole libertarie e i nuovi chierici saranno chierici di sinistra. Questa cosa ovviamente dava fastidio a molti ed era uno dei motivi per cui, in realtà, Pasolini ha perso. Tutti lo festeggiano, grandi celebrazioni, la faccia di Pasolini ovunque, ma se voi leggete cosa diceva Pasolini vi accorgete che ha perso.

Ad esempio Scalfari pensava che Pasolini fosse un malato di mente, scrive. Ha vinto Scalfari, non Pasolini. In Italia la cultura l’hanno fatta gli altri. L’ha fatta Umberto Eco che negli anni 50 era uno di quelli che faceva alla radio le interviste impossibili a Beatrice di Dante prendendo per il culo Dante, cioè irrideva la tradizione. Era con quelli che ce l’aveva Pasolini, ma hanno vinto loro.

L’inquietudine di Pasolini

Pasolini è un personaggio veramente tragico non solo per la fine che ha fatto, ma perché l’inquietudine che aveva addosso – che dipende da tanti motivi personali anche, perché non è un’inquietudine solamente intellettuale; diventava intellettuale, sapeva essere intellettuale – era un’inquietudine vissuta.

I motivi che l’hanno consumato, anche con una certa  vigoria, era il sentire che stava succedendo qualcosa di irreparabile se non si recuperava un senso del sacro. Infatti chi ha visto qualche film di Pasolini sa che sono continuamente una rappresentazione dell’arte.

Lui lo dice: i miei maestri sono Masaccio, Caravaggio, e sono delle specie di icone, una rappresentazione sacra della realtà. Quando dico «sacra» (attenzione!) non vuol dire che era un credente. Pasolini non era un credente, era un ateo. Il senso sacro dell’esistenza non coincide con la Fede.

Coincide con il sentimento che c’è qualche cosa che non si consuma, qualche cosa che merita rispetto, timore e tremore. Se questo non c’è più la società è puramente in preda del potere del consumo. Pasolini lo capisce, lo grida, lo dice, lo continua a far vedere nelle sue opere, lo dichiara apertamente.

Per questo va anche controcorrente rispetto a delle posizioni che potevano essere più comode. Per questo attacca anche la Chiesa laddove la Chiesa, invece di parlare di queste cose, parla di questioni secondarie o è associata al potere. Lo fa in maniera molto chiara, molto diretta.

È anche il motivo per cui a Don Giussani era simpatico Pasolini. Dice: questo è uno che dice delle cose interessanti, è uno dei pochi intellettuali che vale la pena ascoltare. Perché richiamava la realtà a un punto di verità.

«Solo l’amare, solo il conoscere, conta»

C’è una poesia di Pasolini molto bella che si chiama Il pianto della scavatrice. Vi leggo un pezzo:

Solo l’amare, solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto. Dà angoscia

il vivere di un consumato
amore. L’anima non cresce più.
Ecco nel calore incantato

della notte che piena quaggiù
tra le curve del fiume e le sopite
visioni della città sparsa di luci,

scheggia ancora di mille vite,
disamore, mistero, e miseria
dei sensi, mi rendono nemiche

le forme del mondo, che fino a ieri
erano la mia ragione d’esistere.
Annoiato, stanco, rincaso, per neri

piazzali di mercati, tristi
strade intorno al porto fluviale,
tra le baracche e i magazzini misti

agli ultimi prati. Lì mortale
è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare

ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
alle loro borgate, tornano su motori
leggeri – in tuta o coi calzoni

di lavoro, ma spinti da un festivo ardore
i giovani, coi compagni sui sellini,
ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori

chiacchierano in piedi con voci
alte nella notte, qua e là, ai tavolini
dei locali ancora lucenti e semivuoti.

Stupenda e misera città
[…]

Bellissima poesia su Roma che vi consiglio di leggere. Pasolini dice che fino a ieri le forme del mondo lo affascinavano, erano la sua ragione d’esistere. Pasolini era un esteta, era il più dannunziano degli scrittori italiani. Fino a ieri! Ora è annoiato, stanco, rincaso… ma là, a viale Trastevere…

Ecco, Pasolini è questo. La realtà ti richiama sempre. Lui dice: il mio unico idolo è la realtà. Posso avere tutti i pensieri del mondo, «ma giù, a viale Marconi, alla stazione di Trastevere, appare ancora dolce la sera».

Questo in Pasolini è fortissimo. È la cosa forse più commovente della sua figura. Un intellettuale profondissimo, che ha vivissimo il senso della realtà che succede. Anche se sono annoiato, stanco, rincaso… ma là! In questo «ma là» c’è tutto il genio degli artisti veri che stanno attenti al mondo che succede.

Vi leggo un’altra poesia che è una poesia strana. Voi sapete che Pasolini, questo ateo incallito e appunto con una vita non proprio… mi ricordo una volta una conferenza con Arbasino che diceva: sai, andavamo a cena la sera a Roma io, Moravia, la Maraini, Pasolini, e alle 9:00 dicevo: PierPaolo vai perché se no i ragazzini vanno a letto. Che non è proprio una bella frase da dire, però era così, era normale.

Io una volta all’università di Yale mentre facevo un seminario di poesia ho detto: beh insomma, Pasolini se non era un pedofilo, quasi… poi io penso che vada insegnato all’università perché è un genio lo stesso. Se vale per altri vale anche per lui la presunzione che uno può essere una brava persona anche se ha un vizio terribile.

Questa persona che era così, non lo mascherava, ha fatto forse il più bel film su Gesù Cristo che è Il Vangelo secondo Matteo, un film che ha una lunga storia, una lunga gestazione anche in collaborazione con i francescani, la città di Assisi.

Cosa succede? C’è un problema: deve trovare l’attore per fare Gesù. Non è proprio così facile trovare un attore che faccia Gesù e non sa come fare. Tant’è vero che chi ha visto i film si ricorderà questa faccia un po’ strana di questo che era una specie di semi terrorista basco che Pasolini sceglie. Fa solo quel film, non fa nient’altro. Per tutta la vita non fa mai l’attore, fa solo quel film. Rimane iconica questa figura di Cristo in questo film.

È volgare questo «non avere Cristo»

Mentre aveva questo problema di trovare l’attore che faceva Gesù, Pasolini scrive una poesia che vi voglio leggere perché è una poesia dove dentro c’è una cosa che mi ha sempre molto colpito. Una poesia che inizia raccontando un suo volo.

Un areoplano dove si beve champagne, Caravelle
Che il capitano annuncia volare
A una media «effettiva» di ottocento km all’ora.
Praticamente sto fermo, bevendo champagne
(versato con più abbondanza nel mio bicchiere
Per prestigio letterario): e so che non ho
«effettivamente» alcun libro in cuore, alcuna opera.
Sono impari a ciò che praticamente sono,
se io ero fatto per restare ai piedi del mondo,
non qui, tra i padroni, in un Caravelle,
che mescola Corfù alla Terra dei Mazzoni
(laggiù, macchietta di nubi),
a Roma, col Tevere, come uno dei mille Giordani.
Devo tornare povero? Ignoto? Ragazzo?
Non so, effettivamente, essere padrone.
È ridicola la mia influenza, la mia fama.
Padre, che cosa mi sta succedendo?

Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto
in ogni mio intuire. Ed è volgare,
questo non essere completo, è volgare,
mai fu così volgare come in quest’ansia,
questo “non avere Cristo” – una faccia
che sia strumento di un lavoro non tutto
perduto nel puro intuire in solitudine,
[…]

Io penso che questa sia la più esatta definizione di cos’è il cristianesimo che io abbia mai trovato. Dice: «è volgare questo “non avere Cristo”» e poi aggiunge «una faccia». Cosa è Cristo? Non un’idea, non una morale, ma una faccia.

Lui stava cercando l’attore, gli serviva la faccia. «Una faccia che sia strumento di un lavoro non tutto perduto nel puro intuire in solitudine». Perché cos’è Cristo per un uomo? È la faccia che fa in modo che la tua vita non sia un puro perduto intuire in solitudine, perché anche se sei il più grande genio della storia – e Pasolini sicuramente è un grande genio – puoi intuire in solitudine qualcosa, ma ci vuole una faccia che sia strumento della vita.

Mi ha molto impressionato questa poesia perché quest’uomo arriva a dire una cosa esatta di cos’è il cristianesimo pur non avendo Fede. La capisce. La vede. Perché capisce che il sacro, la Sibilla, la faccia di Cristo esiste se c’è la faccia, se c’è del sacro nella tua vita, se no è tutto consumo, se no è tutto consumabile, tutto commerciale e quindi vendibile.

Oggi credo che queste sono le grandi questioni in cui ci troviamo. A un giornalista che chiede a Pasolini “puoi dare una definizione di te stesso?” lui risponde “È come chiedere la definizione dell’infinito”.

Lgbtq+ e altri aggettivi: una giacca troppo stretta

Noi siamo in un’epoca in cui sembra che invece dobbiamo definirci con degli aggettivi: bianco, omosessuale, italiano, ecc… Alla grande domanda di Leopardi nel 1830 «Ed io che sono?», che è la domanda che Leopardi alza alla luna e che fa capire che il tema della modernità è l’identità (che non è un problema inventato oggi quello del «che sono»? Quando dico «io» cosa dico?), la nostra cultura – che è il frutto di quello che Pasolini ha identificato – come risponde?

Risponde con una serie di aggettivi: tu sei bianco, omosessuale, nero, giallo, Lgbtq, ecc… le identità, che sono aggettivi! Questo è uno dei motivi di ansia della nostra epoca, perché nessun aggettivo ti identifica fino in fondo. Infatti stiamo lì a fare tutti gli aggettivi e poi tutti cercano il «fluido».

Ma scusa, perché abbiamo fatto tutta questa fatica a identificare tutto se poi bisogna fare il fluido? Basta vedere le sfilate di moda: tutto fluido. Allora a cosa servono tutti gli aggettivi? Perché dobbiamo identificare se poi si cerca il fluido? Perché nessun aggettivo ha una giacca abbastanza larga per me.

Se mi dicessero «Davide, tu cosa sei?», io potrei dire che sono eterosessuale, sono bianco, sono romagnolo, ma questa non è la mia natura, nessuna di questa è la mia natura, perché se essere romagnolo fosse la mia natura dovrei fare una lobby di romagnoli che chiedono almeno un articolo della costituzione italiana che inizia con “uei, cio…” se no la mia natura non sarebbe rispettata.

Scambiare aggettivi per natura genera ansia

Oggi stiamo facendo così, stiamo facendo diventare gli aggettivi natura, non solo creando un gran casino come si vede, ma soprattutto prendendo in giro le persone, soprattutto i più giovani che si ritrovano con l’ansia di essere definiti.

L’aggettivo ti definisce e auguri a vivere con l’aggettivo che ti definisce. Se poi l’aggettivo è che non sei abbastanza bella come vuole Instagram, tu non sei una ragazzina che non è abbastanza bella, tu sei la bruttezza. È difficile vivere così.

Se l’aggettivo è che hai fatto un atto sbagliato tu non sei più uno che ha fatto un atto sbagliato: sei l’errore. È difficile vivere con quest’ansia addosso. Lo scambiare aggettivo e natura, che è la cosa con cui noi stiamo rispondendo alla domanda « Ed io che sono?», è uno dei drammi della nostra epoca.

L’ansia che oggi è dominante dipende in buona parte da questo e non dalla prestazione, non è un problema prestazionale. Io su questo sono assolutamente contrario anche perché in genere chi fa questi discorsi è molto prestazionale. Adulti molto prestazionali dicono che il problema è la prestazione. Professionisti bravissimi dicono sono diventati bravissimi facendo grandi prestazioni.

Il problema non è la prestazione. Il problema è l’aggettivo che qualifica la tua natura. Questo genera ansia, perché se l’aggettivo che ti qualifica è una giacca stretta non ce la fai. Cerchi di romperla, non ce la fai, e questo ti fa venire l’ansia. Un grande poeta che si chiama Auden aveva scritto L’età dell’ansia nel 1940.

Solo l’infinito qualifica la natura umana

Ora, per tornare a Pasolini, quando gli fanno quella domanda avrebbe potuto rispondere: sono comunista, sono omosessuale, sono friulano. Invece dice no: è come chiedere la definizione dell’infinito. Perché solo l’infinito qualifica la natura umana. Quella è la mia natura. Il resto sono aggettivi.

Se scambio un aggettivo o una serie di aggettivi con la mia natura mi metto addosso una giacca stretta che genera solamente ansia e che sta generando ansie terribili tra i ragazzi perché nessun aggettivo ti qualifica. E invece siamo lì a qualificare. Tutto! E poi provare a  sfuggire e in questo gioco schizofrenico ovviamente si va in ansia perché non funziona né la determinazione degli aggettivi né la presunta fluidità. Sono due finte.

Ora lo dico perché Pasolini con quella risposta fa capire che sta intendendo una questione fondamentale perché la risposta alla domanda «Che cosa sono io?» orienta qualsiasi mia posizione sul mondo. Così se io non sono più l’infinito qualsiasi mia posizione sul mondo ricade nel regno del consumabile: il finito del consumabile.

Questo oggi ha conseguenze sociali enormi perché se non è più l’infinito la tua natura, ma è uno degli aggettivi, tutto è consumabile. E questa oggi è una delle grandi questioni che Pasolini aveva antiveduto e con quella risposta a me ha impressionato perché effettivamente l’unica risposta da dare è una risposta che oggi è difficilissima da sentire.

Siamo fatti a metà, siamo fatti per stare squilibrati

Per finire vi leggo una cosa molto bella di uno che è stato uno dei miei maestri, Giovanni Testori, che non sopportava Pasolini come spesso accade tra omosessuali e anche per certe vicende legate ai salotti romani, ma adesso non importa. Però, quando muore Pasolini, Testori scrive una cosa veramente profonda.

Pasolini diceva: «Io sono come una domanda a cui non so dare risposta». Sapete cosa vuol dire questo in quest’epoca in cui tutti cercano l’equilibrio? Io non ne posso più di quelli che cerco l’equilibrio. È una delle puttanate, l’equilibrio, ma noi non siamo fatti per stare equilibrati. Siamo fatti per stare squilibrati.

Se fossimo fatti per l’equilibrio saremmo fatti come un mobile. I parallelepipedi sono in equilibrio. Siamo fatti a metà, cazzo! Siamo fatti a metà. Siamo fatti per squilibrarci, per “andare verso”, per incastrarci con qualcun altro. Nel mito dell’equilibrio si impasticcano tutti. Per forza! Perché è una palla l’equilibrio.

Invece Pasolini diceva: io sono una domanda a cui non mi so dare risposta, sono squilibrato! Non posso essere la risposta a me stesso. Quest’idea dell’equilibrio è una follia completa che infatti stiamo pagando gravemente.

Ma dicevo Testori, quando Pasolini muore, scrive queste poche righe che vi leggo che danno l’idea anche della profondità della cosa e dal fatto che, al di là delle mie semplificazioni, non si può semplificare tutto. Dice così:

[…] quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più; quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari, s’è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d’odio e d’amore) e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un “qualcuno”; quel “qualcuno” che ci illuda, fosse pure per un solo momento, di poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell’unità lacerata e perduta. […]

[Paolo Desalvo]

Proprio in quel pezzo che tu hai letto adesso di Testori, c’era proprio questa definizione perché quando si pone la domanda:

[…] Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l’angoscia dell’essere diviso, dell’essere soltanto una parte di un’unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l’angoscia dell’essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva. […]

Il rapporto con l’origine (il trauma della nascita)

Mi ha impressionato il tema della mancanza. Io non ho mai sentito definire così bene l’ontologia nostra, quello che noi siamo, questo squilibrio che noi siamo. È la questione della ricerca di un origine che non riusciamo mai a trovare. Si può dire che questo è Pasolini?

[Davide Rondoni]

È Pasolini e Pasolini lo vive per motivi suoi personali. Se voi leggete una poesia alla madre fa venire i brividi. Dice a sua madre una cosa terrificante: non posso amare nessuno perché l’amore sei tu. Io spero che nessun figlio dica mai così alla madre perché evidentemente lì c’è un eros bloccato che diventa poi una serie di problemi.

Però è vero: la nascita è il trauma. Per questo Nietzsche voleva far fuori la nascita. Se tu vuoi un superuomo, se tu vuoi un uomo perfetto, completo, oggi diremmo «autodeterminato», un uomo che sta in piedi da solo, c’è un solo problema: di far fuori la nascita.

Perché la nascita è il trauma che ti fa capire che da solo non ci sei, che non ti completi, perché la nascita è evidentemente qualcosa che non fai tu, che non gestisci tu. Infatti tutta la vita di un uomo dipende dal rapporto che ha con la nascita, non con la morte, perché la morte non sappiamo che cazzo sia fondamentalmente, quindi possiamo più o meno cavarcela, non sappiamo cos’è!

La nascita, invece, sì. La nascita c’è stata. Non sei nato quando volevi tu, come volevi tu e da chi volevi tu. È un trauma! E questo infatti è uno dei grandi scandali della nostra epoca: la nascita. Pasolini e tutti i grandi poeti, non a caso, hanno un grande rapporto con la madre, non solo perché vogliono bene alla mamma, ovviamente, ma perché lì c’è la questione dell’origine.

C’è la questione che nell’origine sperimenti il fatto che non sei autosufficiente. Infatti io avendo fatto questo libro sulla natura dico: vogliamo avere una vita naturale? Bisogna stare attaccati alla nascita.

Gli elementi che sono nella nascita sono scandalosi: che non ti fai da solo, non decidi tu, non ti autodetermini, non ti fai come vuoi. Stare attaccati alla nascita è scomodo. Infatti la nostra epoca vuol far fuori la nascita, ormai, anche tecnologicamente, cioè la vuol dominare perché la nascita è lo scandalo.

Poi uno capisce, senza scomodare Platone, il mito, eccetera, che noi siamo qualcosa che è la metà di qualcos’altro. Questa qui è la condizione umana. Far finta che non sia così è l’inizio della grande menzogna ed è l’inizio della grande ansia che oggi domina.

La borghesia è il contrario della religione

[Paolo Desalvo]

Negli Scritti corsari, in certi punti in cui lui attacca la Chiesa istituzionale, mi sembra che lo faccia come a partire dalla preoccupazione che la Chiesa in qualche modo ha tradito qualche cosa, ha tradito la sua vocazione. Leggo un pezzo:

La Chiesa insomma ha fatto un patto col diavolo, cioè con lo stato borghese. Non c’è contraddizione più scandalosa, infatti, che quella tra religione e borghesia essendo quest’ultima il contrario della religione. Il potere monarchico feudale lo era in fondo di meno. Il fascismo, perciò, in quanto momento regressivo del capitalismo, era meno diabolico oggettivamente dal punto di vista della Chiesa che il regime democratico. Il fascismo era una bestemmia, ma non minava all’interno la Chiesa perché essa era una falsa nuova ideologia. Il concordato non è stato un sacrilegio negli anni 30, ma lo è oggi. Il fascismo non ha nemmeno scalfito la chiesa, mentre oggi il Neocapitalismo la distrugge. L’accettazione del fascismo è stato un errore, un atroce episodio, ma l’accettazione della civiltà borghese capitalistica è un fatto definitivo il cui cinismo non è solo è una macchia, l’ennesima macchia nella storia della Chiesa, ma un errore storico che la chiesa pagherà probabilmente con il suo declino. Essa non ha infatti intuito, nella sua cieca ansia di stabilizzazione e di fissazione eterna della propria funzione istituzionale, che la Borghesia rappresentava un nuovo spirito, che non è certo quello fascista, che si sarebbe mostrato dapprima competitivo con quello religioso (salvandone solo il clericalismo) e avrebbe finito poi col prendere il suo posto nel fornire agli uomini una visione totale e unica della vita.

Mi ha impressionato perché 52 anni fa scrive questa cosa per dire che la Chiesa sta venendo meno ad un suo compito che è quello di non confondersi con l’opposto della religione che è la borghesia. Mi sembra che ancora oggi questa cosa sia proprio…

[Davide Rondoni]

Aveva ragione! Negli anni 70 io ero piccolino e quindi non posso parlarne per esperienza diretta, ma ho visto un po’ di cose. Avere a che fare con quella Chiesa lì non era facile, ti veniva voglia di scappare. Non è un caso che in quegli anni Don Giussani e altri iniziano delle cose nuove perché era insopportabile per molti motivi.

È chiaro che Pasolini sta facendo qui un’analisi puramente sociologico-politica e secondo me c’è un errore di fondo perché ovviamente un fenomeno come la Chiesa non puoi leggerlo solamente in modo sociologico-politico. Questo è l’errore di fondo di quell’analisi che peraltro è condivisibile, però cerchiamo di capire cosa vuol dire.

Un giorno una signora mi ha fatto un discorso che dopo un minuto mi cadono le ginocchia e comincia a dire: i giovani di oggi hanno un sacco di vizi, le pasticche, le droghe, la marijuana, si fumano di tutto, in discoteca, eccetera. Una signora minimamente elegante, diciamo così.

Io le chiedo: signora, lei va a messa la domenica? Lei non si aspettava la domanda e mi risponde “sì”. Anch’io ci vado quasi tutte le domeniche e le dico: sai cosa facciamo noi a messa la domenica? Beviamo il sangue di uno e mangiamo la sua carne. È un po’ più estremo che farsi una canna, no?

Se per fame di vita un ragazzetto che non incontra nient’altro nella vita si fuma una canna e tu dici che non sta bene… tu ti bevi il sangue di uno, ogni domenica ti mangi la carne di uno… che gesto è quello? Sarà un po’ più estremo? Lo dico un po’ provocando e un po’ no. La signora non ci pensa nemmeno più a questo. Questa è borghesia.

Così come quando sento preti e vescovi che continuano a difendere la famiglia. Per carità, io sono sposato da un sacco di tempo, ho i figli, la famiglia è una bella cosa, però se tu continui a difendere la famiglia che oggi esiste è la famiglia del Mulino Bianco dove c’è lui, lei, un cane, forse un bambino, al 9° piano di un condominio.

Un organismo mostruoso, borghese, come fai a vivere in una cosa così? Isolato, non hai nessuno intorno, non c’è più una comunità. La famiglie che si diceva una volta erano delle tribù perché l’uomo è fatto per la tribù, non per la famiglia. La famiglia ha la funzione della tribù. Se non c’è più la tribù la famiglia fa ridere. Diventa grottesca.

Difendere la famiglia borghese è diventata una delle ossessioni di molti vescovi. E fa ridere, infatti non tiene e tra l’altro non funziona perché è ovvio che se io dico a un ragazzo di 25 anni: scusa, perché non ti metti là con una forestiera in casa, un bambino, un cane, al 9° piano in un condominio e vivi lì e cerchi di tenere duro per tutta la vita?

Lui ti risponde: “ma sei matto?”. Certo che sono matto, la famiglia non è quella roba lì. Se tu cominci a promuovere come idea di vita l’idea della borghesia, pensando che questo sia cristianesimo, fai un errore grave e su questo noi abbiamo pagato tantissimo perché tanto moralismo borghese dell’800 è stato scambiato per morale cattolica, ma non c’entra niente.

Pasolini lo aveva capito e aveva segnalato un disagio. Non a caso in quegli stessi anni in tanti sono partiti a fare cose nuove.

Contro l’aborto: un principio di realtà

[Paolo Desalvo]

Prima accennavi alla questione dell’aborto. Lui si pone in una posizione che è diametralmente opposta a quella della sua corrente politica. C’è un brano che fa vedere  come lui non riesce a parlare in termini ideologici, lui ragiona sempre di fronte alla realtà così com’è. Lui dice:

«Non c’è nessuna buona ragione pratica che giustifichi la soppressione di un essere umano, sia pure nei primi stadi della sua evoluzione. Io so che in nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un’altrettanto furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia del genere umano, ha qualcosa di irresistibile e perciò di assoluto e di gioioso. Anche se poi nasce un imbecille.»

C’è un livello ultimo della realtà che non può essere oggetto di consumo, oggetto di discussione. C’è nella vita qualcosa che è incomprimibile. A me impressiona questo perché era difficile per uno di sinistra come lui, con la sua storia, le sue frequentazioni, uscirsene con una adesione così totale, così profonda alla realtà.

[Davide Rondoni]

Infatti in questo testo non c’è nessuna valutazione morale. C’è quasi una valutazione estetica della cosa. Dice che non c’è niente di così propulsivo come la vita che cerca di compiersi. E appunto c’è il richiamo al «principio di realtà».

Pensate che ieri ero a pranzo con un regista a Roma che ha appena fatto un documentario su Pasolini per la RAI e gli hanno fatto tagliare il punto in cui lui diceva che Pasolini era contro l’aborto, perché appunto – come ho detto – Pasolini ha perso, non ha vinto. E continua a essere scomodo tanto che oggi la RAI dice a uno che fa un documentario di non mettere che Pasolini era contro l’aborto perché non sta bene.

[ndr da prestare attenzione per chi crede che viviamo in un mondo in cui non c’è censura e viene riconosciuta la libertà di pensiero, parola ed espressione]

Il problema è il principio di realtà, cioè il fatto che se c’è una realtà non puoi negarla in nome di un diritto. Non può essere la negazione della realtà un diritto. Questo è un problema logico, non è un problema né di Fede né di altro. È un problema logico, da intellettuale.

Infatti la posizione di Pasolini è difficilmente scalfibile. «Non c’è nessuna buona ragione pratica» – non dice “morale” o “religiosa” – «che giustifichi la soppressione di un essere umano». Questo è un principio di realtà, difficilmente attaccabile.

Allora era molto presente anche in una buona parte del mondo comunista che la pensava come Pasolini. Dopo nel tempo le cose sono cambiate anche perché secondo me le cose sono un po’ diverse come vengono rappresentate, però il metodo è quello che interessa, è l’attaccamento alla realtà.

Cos’è la realtà? Oggi se tu chiedi a uno che cos’è la realtà… Nel ’54 Pasolini manda una lettera a Carlo Betocchi, grandissimo poeta toscano. Pasolini era comunista, Betocchi era cattolico. Pasolini chiede a Betocchi (che era stato un suo maestro): cosa vuol dire essere realisti?

Cosa vuol dire avere veramente un rapporto con la realtà? Come fai a dire «la realtà per quello che è»? Come fai a essere sicuro che è la realtà? Oggi non è facile dirlo, non solo per le complicazioni virtuali e tecnologiche. Cosa vuol dire essere attaccati alla realtà? Si può anche parlare tanto di realtà e non coglierla.

Non è un caso che la prima lezione di Don Giussani sul senso religioso è il realismo. La realtà non si dà automaticamente. Uno dice: ho un rapporto con la realtà perché “questa è una bottiglia”. No, questo è oggettivismo, non è rapporto con la realtà. Noi non siamo macchine fotografiche. Non cogliamo passivamente la realtà. Deve entrare in gioco la tua libertà e il tuo giudizio, se no la realtà non la cogli.

Tant’è vero che c’è un sacco di gente che pensa di aver avuto rapporto con la realtà ed è stata semplicemente infarloccata dal Potere per anni. Credevano di avere un rapporto con la realtà, ma avevano un rapporto con quello che gli raccontava il Potere. È diverso! Lo abbiamo visto in questi anni.

«Rapporto con la realtà! Rapporto con la realtà!» e poi tutti dietro al pifferaio del Potere. Rapporto con la realtà o con il Potere? Perché se non c’è un’entrata in gioco della libertà e del giudizio tu pensi di avere un rapporto con la realtà…

Tant’è vero che il potere – e questo Pasolini lo sapeva – lavora sulle parole! Ti mette in bocca le parole per leggere la realtà e tu invece di leggere la realtà vai dietro il Potere. Per stare a quello di cui stiamo discutendo adesso, io non ho mai sentito una donna dire: «Aspetto un embrione», mai. Aspettano tutte un figlio. È chiaro che dire «congeliamo 5.000 figli» fa più effetto, è brutto. Quindi si cambia la parola e questo potremmo farlo su mille cose.

È stata un pipistrello, ovviamente, la pandemia. Ma certo che è stato un pipistrello… rapporto con la realtà. E la guerra è per il gas, che costa come prima della guerra, o è per qualcos’altro? Rapporto con la realtà. Attenzione perché in nome del rapporto con realtà tu puoi seguire il potere e non te ne accorgi neanche.

Per questo occorre il giudizio, occorre la libertà, occorre esercitare il giudizio, occorre il senso critico, occorre la cultura, occorre discutere perché altrimenti non stai seguendo la realtà, ma quello che ti raccontano, ed è diverso.

[Paolo Desalvo]

Il rapporto di Pasolini con la bellezza?

[Davide Rondoni]

[…] dicevo prima dello struggimento di lacrime intellettuali. Era un filologo, aveva insegnato ai ragazzini di campagna in Friuli a leggere, a guardare le opere d’arte. Aveva fatto tirar fuori, passando con la cipolla sui muri, un affresco del 300 per questi ragazzini contadini.

Sapeva che la bellezza era appunto il primo elemento di rapporto con il sacro perché l’esperienza della Bellezza, quando è vera, quando è autentica – non è mai meccanica neanche quella – ti introduce una sorta di sproporzione.

Un mio amico napoletano dice: come fai a accorgerti che è una cosa bella? Perché pensi di non meritarla. Mi sembra vero. Quando pensi di vivere veramente un’esperienza di bellezza? Quando pensi: è impossibile che sia per me. Pasolini aveva questo senso di sproporzione nell’esperienza della bellezza che si vede in un infinito lavoro che ha fatto sull’arte, sul cinema, sulla poesia.

[Paolo Desalvo]

È vero che Pasolini ha perso, però è altrettanto vero che per tante cose che lui ha scritto, lo sentiamo profondamente amico.

[Davide Rondoni]

“Ha perso” non vuol dire che non aveva ragione. Aveva ragione e ha perso.

Articolo precedenteIl femminismo rende giustizialisti
Articolo successivoNon sono più io che vivo

Lascia una risposta

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome