Il femminismo rende giustizialisti

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I media italiani hanno accolto con scandalo la sentenza che ha condannato a 30 anni di carcere Davide Fontana (44 anni) per l’uccisione di Carol Maltesi. Il motivo è che desideravano la pena dell’ergastolo. Volevano che si buttasse via la chiave, insomma, nonostante mancassero per legge gli elementi sufficienti.

Ad esempio Maria Cafagna, editorialista di Today, ha pubblicato un articolo che si intitola: «La vergognosa sentenza per il femminicidio di Carol Maltesi». Perché vergognosa? Perché ritiene che le seguenti motivazioni siano «agghiaccianti»:

  • Assenza di premeditazione.
  • Assenza di crudeltà perché Fontana non infierì sul corpo della donna oltre a quanto fosse funzionale alla sua uccisione.
  • L’ira scatenata dall’idea di perdere i contatti stabili con lei che aveva palesato l’intenzione di trasferirsi per stare vicina a suo figlio e all’ex compagno. Ciò aveva generato in lui una situazione psicologica di insopportabilità.
  • Assenza di motivi abietti perché Fontana si è reso conto che la giovane e disinibita (aveva un profilo su OnlyFans su cui pubblicava contenuti pornografici e in occasione dell’omicidio è stata legata proprio per realizzare e vendere un contenuto di questa tipologia) Carol Maltesi si era in qualche misura servita di lui per meglio cercare i propri interessi personali e professionali.

Individuare il movente non significa giustificare l’autore

Il compito della giustizia è quello di accertare tutti i fatti, affinché si possano stabilire quali circostante attenuanti e aggravanti riconoscere o escludere. Non si dà l’ergastolo a chiunque seguendo l’emotività. Sono le basi del diritto moderno.

Messaggi violenti e giustizialisti, tollerati dalla nostra cultura.

Maria Cafagna, invece, sostiene che l’aver considerato questi fatti nelle motivazioni siano figli dell’idea che «se l’è andata a cercare». Quindi la prossima volta bisognerebbe ignorare le circostanze per condannare direttamente all’ergastolo l’imputato quando la vittima è una donna. Si potrebbe fare, ma solo cambiando la legge. Si andrebbe però nella direzione del giustizialismo che stonerebbe un po’ in un’epoca in cui il diritto penale è più garantista e si parla anche di abolizione dell’ergastolo e abolizione del carcere.

Inoltre è molto grave quando la magistratura viene messa sotto pressione dall’opinione pubblica, perché il rischio che si faccia influenzare condannando un imputato oltre misura non renderebbe giustizia. La magistratura deve lavorare liberamente seguendo le leggi.

Il giudice ha dovuto anche giustificarsi

Il giudice, che ha scritto la sentenza con la giudice a latere e i sei popolari (di cui tre donne), ha dovuto anche giustificarsi personalmente e dare le spiegazioni tecniche del caso, rilasciando le seguenti dichiarazioni:

Non è che ogni processo per un grave delitto debba finire con l’ergastolo […]. Sono convinto di non aver mancato di rispetto a nessuno, e non sarebbe stato diverso se la ragazza avesse fatto la suora anziché l’attrice. Se non si capisce ciò che abbiamo scritto, è senz’altro un problema mio: ma anche chi legittimamente critica le motivazioni dovrebbe prima leggerle nella loro concatenazione su concetti giuridici che hanno significato diverso rispetto alla Treccani. […] Qui abbiano fissato la pena base nel massimo dell’omicidio semplice, 24 anni; e aggiunto il massimo della pena per lo scempio del cadavere, 7 anni più 3 di continuazione. Fanno 34 anni, ma il tetto massimo di legge è 30“.

Il giudice ha anche spiegato che il movente non è stato ritenuto «abietto o futile» oltre a non poter essere ritenuto più turpe di ogni altro movente di un delitto così cruento. Ha spiegato inoltre che non si può fare l’errore di desumere l’aggravante della «crudeltà» dal successivo raccapricciante scempio fatto sul cadavere (il corpo, già privo di vita, è stato fatto a pezzi per essere nascosto).

Ecco cosa dice la Corte di cassazione sul concetto di crudeltà (E sì, non è quello della Treccani):

L’aggravante dell’avere agito con crudeltà verso le persone si configura quando «le modalità della condotta rendono evidente in modo obiettivo e conclamato la volontà dell’agente di infliggere alla vittima sofferenze gratuite, inutili, ulteriori e non collegabili al normale processo di causazione dell’evento morte».

(Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 25835/12; depositata il 4 luglio)

L’editorialista ha proseguito scrivendo che:

«Le motivazioni di questa sentenza sono uno dei tanti motivi che spingono le donne a non denunciare gli abusi.»

Continua a sfuggire, a lei e a tanti altri, che le motivazioni di una sentenza sono dei fatti rilevati. Individuare il movente non significa giustificare l’autore. Non sono giudizi morali sulla persona. Non sono frutto di ideologie, come nel suo caso.

Vogliono tornare alla preistoria del diritto

Citando la senatrice Valeria Valente scrive:

«Dobbiamo ancora superare stereotipi e pregiudizi. Sono ancora molti gli italiani che colpevolizzano le donne che subiscono violenza. Serve poi una specializzazione più incisiva in tutti gli attori della ‘filiera’: dall’ufficiale di polizia giudiziaria, agli avvocati e ai giudici».

Se c’è un progetto politico di rieducazione dei giudici per far sì che omettano di considerare circostante attenuanti e di escludere circostante aggravanti quando la vittima di un omicidio è donna, dobbiamo concludere che il femminismo rende più giustizialisti e più cattivi, perché non c’è alcuna pietà (solo perché maschio) verso un essere umano che dovrà vivere i prossimi 30 anni della sua vita chiuso in una piccola cella senza niente.

A meno che non si vuole tornare alla legge dell’occhio per occhio dente per dente, come si può intendere dall’autrice visto che ha dato risalto alle frasi della zia della vittima che dice:

«È una vergogna, mia nipote l’ergastolo lo ha avuto a vita».

Si può dedurre che se togli la vita a qualcuno, deve poi essere tolta a te, ma il diritto penale, come dichiarato nella nostra Costituzione, ha un fine rieducativo, non vendicativo. Bisognerebbe anche studiare.

Il giustizialismo (applaudito) di Dacia Maraini

Proprio in questi giorni i mass media hanno diffuso un messaggio rilasciato dalla scrittrice, poetessa e saggista femminista Dacia Maraini che dice:

«Non capisco perché se io denuncio di essere stata rapinata, nessuno mette in dubbio che sia vero e nessuno pensa che io abbia avuto piacere nel subire una rapina. E invece nello stupro bisogna dimostrare che non si è stati consenzienti. Questa è una cosa gravissima».

Praticamente sta dicendo che se una donna accusa un uomo di una violenza, questo deve essere condannato senza un processo, senza che ci sia bisogno di dimostrare nulla. Certo che serve dimostrarlo! E questo vale anche per le rapine.

Incredibile constatare che oggi un intellettuale possa non avere queste basi fondamentali. Sembra di tornare alla preistoria del diritto. Anche l’Osservatorio sulla legalità e sui diritti onlus ha preso le distanze dalle parole della saggista femminista, ma i mass media hanno diffuso questo messaggio, aizzando come al solito la rabbia degli utenti, come se fosse tutto normale.

La manipolazione dei mass media

Tutti i media hanno contribuito a diffondere ignoranza in materia di diritto. Guardiamo solo i principali.

La Repubblica scrive che il fatto di aver specificato che lui fosse innamorato è una giustificazione morale (ironizzando con la parola “poveretto”), mentre è ovvio che nelle motivazioni di una sentenza serve solo ad inquadrare le circostanze psicologiche e il movente.

Inoltre sostiene che il fatto che lei sia stata descritta come “disinibita” (essendo stata uccisa durante la ripresa di un video pornografico in cui era legata) abbia influito sulla decisione di evitare l’ergastolo all’omicida. Ma basta leggere le motivazioni per sapere che sono ben altre (previste dalla legge) quelle che hanno determinato la sentenza.

A leggere La Repubblica sembra che si sia trattata di una sentenza arbitraria. O che l’imputato sia stato assolto, invece è stato condannato al numero massimo di anni che è 30. Si è dovuto giustificare anche il giudice che ha dovuto spiegare tecnicamente perché se anche la vittima fosse stata una suora non sarebbe cambiato nulla.

Inoltre La Repubblica presenta come insensata la mancanza di crudeltà e premeditazione. Eppure basterebbe aprire un codice penale per comprendere il significato giuridico, in ambito penale, di quelle due parole. Anche un non addetto ai lavori può leggere le norme che sono chiare e scritte in italiano.

Lo stesso scempio giornalistico lo propone La Stampa, che parla di «sentenza choc» confondendo movente con giustificazione morale e diffondendo la fake news della riduzione di pena perché lei era disinibita.

Idem per Today che addirittura presenta nel titolo l’essere disinibita come unica motivazione della mancata condanna all’ergastolo, generando una fake news totale. Ormai ci siamo assuefatti all’idea che i giornali mentono.

Chiudiamo con il Corriere della sera, su cui non c’è nulla da aggiungere.

E i commenti degli utenti? Inutile mostrarli. Sono tutti rabbiosi, segni di un popolo inferocito che vuole vendetta e condanna la magistratura “maschilista”, ma non è nemmeno colpa loro se sono manipolati dall’alto quotidianamente e incessamente.

Siamo tutti stupratori?

La vera perla dell’articolo di cui parlavamo prima arriva quando viene linkato un altro articolo del collega editorialista Stefano Pagliarini dal titolo «Cerchiamo sempre un alibi agli stupratori».

Senti già la puzza di ingenua generalizzazione con quel «sempre»? Guarda cosa leggiamo al suo interno:

«La nostra è una società che tollera e difende lo stupro. Potremmo quasi dire che siamo una società di stupratori».

Hai capito a che livello siamo? Eh purtroppo questi sono i nostri intellettuali. Come diceva Gaber, siamo sotto una «dittatura della stupidità». E pensare che fino a 50 anni fa sui giornali ci scrivevano Pasolini e Calvino. Come cambiano i tempi.

Da dove deduce quel pensiero questo geniale autore? Dall’episodio di una ragazza che sotto effetto di droghe ha avuto un rapporto sessuale che, non essendo stato consenziente, si configura come uno stupro. E così scrive: «Su social media, ho visto commenti di uomini che sostenevano che se una donna prende droghe, dovrebbe aspettarsi di essere stuprata.»

Il primo errore che commette è quello di giudicare la società intera sulla base di qualche commento sui social, statisticamente irrilevante e scritto da non sappiamo chi.
Il secondo è di interpretazione: dire che drogandosi ci si espone al rischio di subire una violenza, non significa giustificare quella violenza. Le due cose non si escludono e sono entrambe importanti, soprattutto se la droga l’ha assunta anche lo stupratore e se l’incontro è avvenuto in un locale in cui la droga circola abitualmente tra tutti (come si è detto sui giornali).

Pagliarini dice: «Quando una persona ubriaca guida e investe qualcuno, non vedo mai le persone biasimare la vittima».

Ma per fare un paragone un minimo intelligente bisognerebbe dire: se la vittima è passata con il rosso con la musica nelle orecchie mentre guardava lo smartphone e si dice che c’è stata anche questa infrazione, non vuol dire che si giustifica il guidatore ubriaco». La realtà va vista tutta, altrimenti la riduciamo ad ideologia.

Il problema è che non si riesce a capire la causa dei problemi. Inoltre ci sono dogmi che non possono essere messi in discussione. Eppure quando accadono fatti incresciosi ci sono spesso in mezzo droga, sesso facile, soldi, pornografia e tutte quelle finte libertà che ereditiamo dal ’68.

Siamo una società di stupratori? Ci giriamo intorno e incontriamo persone che dicono che non c’è niente di male nello stupro?

Tradizionalmente lo stupro è considerata una cosa gravissima, aberrante. Il corpo della donna, in un passato non tanto lontano, era sacro e non si poteva nemmeno avvicinare. Lo testimoniano il valore della verginità prematrimoniale, della fedeltà coniugale, il senso del pudore e il vestiario più casto.

Quando un uomo commette un reato grave contro una donna e portato in carcere, di consuetudine viene messo in isolamento ed evitato il contatto con altri carcerati perché si sa che rischia di subire violenze o di essere ucciso all’interno del carcere stesso perché quel tipo di comportamento non è tollerato. Non lo tollerano nemmeno le persone – i carcerati – che dovrebbero essere le peggiori della nostra società.

Quando il leader della Lega Matteo Salvini pubblica post in cui denuncia un episodio di stupro, chiarisce la sua volontà di introdurre una legge che preveda la castrazione chimica e il carcere a vita – affinché non sia più messo nelle condizioni di ripetersi – per chi si rende autore di un atto così grave; e i commenti dei suoi elettori sono favorevoli a questa linea politica. Anzi, rincarano la dose cadendo nel più retrogrado giustizialismo.

Cultura dello stupro? Non c’è a sinistra. Non c’è a destra. Non c’è nemmeno tra i carcerati. È quanto di più lontano ci possa essere da un cattolico che considera sacro il corpo. Dove si troverebbe esattamente, a parte nelle fantasie di questi narratori irrazionali che dominano l’opinione pubblica?

In una serie televisiva degli anni 90 che si chiama Low & Order all’inizio di ogni puntata veniva ricordato che «nel sistema giudiziario statunitense, i reati a sfondo sessuale sono considerati particolarmente esecrabili».

Per quanto le cose siano cambiate e la liberalizzazione sessuale abbia introdotto l’idea di dover «possedere» da subito il corpo del nostro partner altrimenti non siamo moderni, di dover subito soddisfare i nostri piaceri e i nostri capricci, di seguire l’istinto, resta comunque la percezione negativa verso la violenza di ogni tipo da parte della totalità delle persone. Anche da parte di chi l’ha commessa in passato. Anche chi la commette sa che non è una cosa bella.

Lo sappiamo, basta guardarci intorno. Basta non fare come i giornalisti femministi o comunque piegati a questa ideologia che sembra abbia una capacità, come nessun’altra, di spegnere i cervelli.

La vera soluzione

La soluzione al problema non arriverà mai finché diremo che i giovani sono liberi di andarsi a spaccare in un locale a base di alcol, sesso e droga perché la vita è la loro e ognuno fa ciò che vuole, come ha detto in un’intervista il padre della povera ragazza stuprata. E non arriverà mai finché diremo che non c’è niente di male nel vendere il proprio corpo su OnlyFans, perché è la sacralità del corpo la vera difesa, l’unica che si oppone al suo consumo.

Finché gli adulti non riconquisteranno una bellezza del vivere, non potranno mai sapere cosa è bene e cosa e male e perciò non avranno mai niente da insegnare ai giovani che resteranno così abbandonati al loro destino dietro la maschera della “tolleranza”.

La tolleranza oggi è la mera conseguenza del nulla, della disperazione, dal non sapere nemmeno cosa è meglio per noi e quindi dall’impossibilità di poter sapere cosa è meglio per un altro. E quindi «fai un po’ come ti pare», «vivi e lascia vivere».

La nostra società e la nostra intellighenzia crede di poter risolvere i problemi a colpi di moralismo, giustizialismo e polemiche guerrasessiste sui social e sui giornali, ma è destinata a fallire a causa della propria ignoranza. Ciò che ignora è il cuore.

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3 Commenti

  1. Bell’articolo, così come quello precedente sul femminicidio.
    Peccato che l’autore non si firmi, vorrei contattarlo per proporgli di pubblicare sue riflessioni del genere sul sito dove scrivo io, molto noto in Italia, ovvero lafionda.com, che si occupa proprio di tematiche del genere.
    Se mi leggi, fatti vivo con noi, possiamo darti una vetrina più ampia.
    Grazie, ciao.

  2. Non ho mai creduto alla contrapposizione giustizialisti contro garantisti, la parola giusta era forcaioli, ma quella non è giustizia e le garanzie devono essere parte della giustizia, come in tutti gli equilibri costituzionali, niente ad oltranza e a tifoseria.

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