Io sono una forza del passato (Poesia di Pasolini) – Testo e Significato

Scritta il 10 giugno 1962 e pubblicata in "Poesia in forma di rosa" nel 1964.

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Un solo rudere, sogno di un arco,
di una volta romana o romanica,
in un prato dove schiumeggia il sole
il cui calore è calmo come un mare,
e, del mare, ha il sapore di sale,
il mistero splendente : lì ridotto,
sulla schiuma del mare della luce,
il rudere è solo: liturgia
e uso, ora profondamente estinti
vivono nel suo stile – e nel sole –
per chi ne comprenda presenza e poesia.

Fai pochi passi, e sei sull’Appia
o sulla Tuscolana : lì tutto è vita,
per tutti. Anzi, meglio è complice
di quella vita chi non ne sa stile
e storia. I suoi significati
si scambiano nella sordida pace
insofferenza e violenza. Migliaia,
migliaia di persone, pulcinella
di una modernità di fuoco, nel sole
il cui significato è anch’esso in atto,
si incrociano pullulando scure
sugli accecanti marciapiedi, contro
l’Ina. Case sprofondate nel cielo.

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno di ogni moderno
a cercare fratelli che non sono più.

Significato (commento di Pasolini)

Essere una forza del Passato significa percepire la parte più vitale della nostra memoria, sede dei nostri ricordi e dei nostri conflitti. Non aver capito il proprio Passato significa riviverlo, ma vivere il Passato in forma lapidea significa togliere ad esso la parte vitale.

La parola Forza esprime un concetto presente di dinamismo non necessariamente legato al movimento, quindi io non mi identifico nel Passato e non provengo dal passato, piuttosto vivo al presente sollecitato da forze multiformi.

Io non mi identifico nel Passato, ma rivedo i suoi riti e i suoi cicli umani, gesti ripetuti nelle epoche che raccolgono i sentimenti di generazioni, e sento che il mio amore di oggi ha radici profonde in quel Passato. 

Vengo direttamente dai ruderi dei casolari abbandonati o distrutti dalle bombe, dalle chiese che costellano ogni nostra regione, dalle pale d’altare che pure ho studiato, analizzato, ammirato, dai borghi degli Appennini o dalle Prealpi, in cui la vita muore lasciandovi niente altro che pochi abitanti che si aggirano come fantasmi.

Là sono vissuti i nostri fratelli, quelli che coltivavano il grano e aravano i campi secondo le fasi della luna, tra una carestia, una guerra o un padrone prepotente. Quello è il nostro Passato.

E mi ritrovo oggi, sulla via Tuscolana, quell’antica via che da Porta San Giovanni portava a Tusculum, la moderna Frascati. Ma in quale punto della Tuscolana giro come un pazzo? Che paesaggio è quello che ho attorno? Vedo case moderne, palazzoni fitti come alveari, tutti uguali ed io che giro con un cane randagio per l’Appia.

Perché devi sapere che la via Tuscolana per un certo tratto corre quasi parallela alla via Appia Nuova, sono strade vicine che comunicano. Io ora vivo qui, questi sono i nuovi paesaggi della nuova era, mi guardo intorno smarrito, sempre stupito e con in gola un nodo che non si scioglie.

Eppure guardo i tramonti e le mattine su Roma, perché chi non ha mai osservato un crepuscolo o un’alba romana almeno una volta, provato sulla pelle il calore di quei raggi solari così luminosi e potenti, è ben difficile che riesca a capire ciò di cui sto parlando. Assisto alle albe e ai tramonti da Roma, dalla Ciociaria e poi sul resto del mondo, al margine di una civiltà sepolta il primo agitarsi di una nuova era primitiva. Il tutto per il solo privilegio anagrafico di esservi piovuto, niente di speciale.

All’improvviso realizzo che io sono frutto di questo Passato ormai morto e mi percepisco come un essere mostruoso, al pari di chi è nato dal cadavere di una donna morta.

Sono piovuto su questa terra senza possibilità di governare il mio destino, inconsapevole e fragile come un feto, ma vecchio di mille e mille secoli, mi aggiro saldato alla nostra epoca, inesorabilmente legato al nostro tempo, a cercare i fratelli che non sono più.

Il perché di questa ricerca è motivato dall’esigenza di non perdere le nostre radici, per far sì che questo Dopostoria perda la sua anonimità, il solo modo per trovare nuovi linguaggi e nuove identità.

Pier Paolo Pasolini

Commento di Alice Figini

La poesia è spesso stata letta come un inno all’anti-modernismo e l’estremo atto di condanna di Pasolini all’omologazione della società moderna. Nella declamazione “Io sono la forza del passato”, l’autore sembra contrapporre la solidità della tradizione alla fatuità del vivete a lui contemporaneo.

Nel passato Pasolini percepisce un’eredità valoriale immensa. Il suo essere uomo, oggi, infatti non può prescindere dall’umanità di ieri e dall’inarrestabile ciclicità del vivere. In questi versi si trova forse la più forte dichiarazione poetica pasoliniana e una ferma condanna di una società sempre più fatua, vuota, superficiale. Il poeta rivendica i valori del passato in contrapposizione a un presente in cui non si riconosce, si sente estraneo.

Con slancio critico e rivoluzionario Pasolini lancia la sua condanna, guarda a un futuro deserto, culturalmente povero di valori che ha fatto dell’anti-umanesimo uno stile di vita. Si percepisce come “sepolto, sotto qualche età sepolta” un uomo che non vive veramente poiché non ha più la possibilità di governare il proprio destino.

Nei versi finali il poeta sembra realizzare di essere erede di un passato ormai morto. Questo passato defunto viene percepito come un essere mostruoso, una madre-cadavere che ha ancora la forza di generare dalle proprie viscere. Ed è qui che Pasolini si definisce con un’espressione ossimorica: “Un feto adulto”.

In queste parole esprime tutta la sua essenza di uomo: il suo essere fragile e inconsapevole come un ramoscello in balia del vento, eppure irrevocabilmente legato a una precisa epoca e a un preciso contesto sociale e culturale.

Nella strofa finale Pasolini esprime la sua eterna ricerca, dettata dal desiderio di scoprire nuovi linguaggi, nuove identità, restando pur sempre ancorato alla solidità delle proprie radici.

Alice Figini

Dalla viva voce di Pasolini

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