Il senso religioso: Realismo – L.Giussani

Riassunto dettagliato del capitolo 1 del volume "Il senso religioso", di don Luigi Giussani, con il titolo "Prima premessa: realismo". Sono state integrate anche alcune considerazioni espresse durante le sue lezioni, tratte dall'omonimo podcast.

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Con il reale si vive, con l’ideale si esiste. Che differenza c’è?
Gli animali vivono, solo l’uomo esiste. Dove la parola esistenza dice di una dignità per cui il vivere diventa cosciente e cosciente di uno scopo, ossia di un senso.

Ci interessiamo al senso religioso perché ci permette di esistere e non solo di vivere, di essere uomini e non solo esseri animati o animali.

Lo scopo non è quello di far passare un mio convincimento o le mie idee. Quello che mi prefiggo è di insegnarvi un metodo per questi che sono problemi decisivi per la vita.

Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina, in Riflessioni sulla condotta della vita scrive:

«Nello snervante comodo della vita moderna la massa delle regole che danno consistenza alla vita si è spappolata; […] la maggior parte delle fatiche che imponeva il mondo cosmico sono scomparse e con esse è scomparso anche lo sforzo creativo della personalità […]. La frontiera del bene e del male è svanita, […] la divisione regna ovunque […]. Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità»

La parola “ragionamento” potrebbe essere sostituita da “dialettica in funzione di un’ideologia. Infatti – prosegue Carrel – la nostra è un’epoca di ideologie nella quale, invece di imparare dalla realtà con tutti i suoi dati, si cerca di manipolare la realtà secondo uno schema fabbricato dall’intelletto.

«Così il trionfo delle ideologie consacra la rovina della civiltà», conclude Carrel.

Il metodo è imposto dall’oggetto

Sant’Agostino afferma: «Io cerco per sapere qualcosa, non per pensarla».
Una visione opposta a quella dell’uomo moderno.
Se infatti sappiamo una cosa, possiamo dire anche di pensarla, ma sant’Agostino ci avverte che non è vero il contrario.

Pensare qualcosa è la costruzione intellettuale, ideale e immaginativa, ma concediamo troppo privilegio a questo pensare, per cui senza rendercene conto proiettiamo sul fatto ciò che ne pensiamo.

Anche dell’esperienza religiosa dovremmo innanzitutto sapere cosa sia.
Prima di ogni altra considerazione, dobbiamo affermare che è un fatto, anzi del fatto più imponente, inestirpabile e vasto della storia umana.

Neanche il fenomeno dell’amore dell’uomo e della donna, neanche quello del rapporto tra genitori e figli, sono all’altezza del senso religioso. Questo perché il senso religioso è un avvenimento che pone, che afferma o che ricerca l’orizzonte entro il quale acquisti senso anche il rapporto tra l’uomo e la donna, anche il rapporto tra genitori e figli.
Perciò è più vasto.

L’esperienza o sentimento religioso propone all’uomo un interrogativo su tutto ciò che egli compie, e viene perciò a essere un punto di vista più ampio di qualunque altro.

L’interrogativo è: che senso ha tutto?

Il realismo esige che, per osservare un oggetto in modo tale da conoscerlo, il metodo non sia immaginato, pensato, organizzato dal soggetto, ma imposto dall’oggetto.

Per capire l’esperienza religiosa, poiché è un fenomeno che interessa la mia coscienza, è su me stesso che devo riflettere. Occorre un’indagine esistenziale.

L’esperienza implica una valutazione

Dopo aver condotto un’indagine esistenziale, è necessario saper emettere un giudizio. Senza una capacità di valutazione, infatti, l’uomo non può fare alcuna esperienza.

«Esperienza» difatti non significa esclusivamente “provare”. L’uomo sperimentato non è colui che ha accumulato esperienze di ogni tipo. Tale accumulo indiscriminato genera spesso distruzione e vanificazione della personalità. Invece l’esperienza la costruisce.

L’esperienza coincide con il giudizio dato su ciò che si prova, sul capire la cosa e scoprirne il senso. Ciò che differenzia il “provare” dal “rendere esperienza” è il paragone con un valore ideale.

Paragonare, confrontare quel che si prova con un valore ideale, si chiama giudicare.

Criterio per la valutazione

Se prelevassimo da altri i criteri per giudicarci, il risultato sarebbe alienante.

Il criterio è dentro di noi, ossia è immanente alla struttura originaria della persona, benché questo non significhi che ce lo diamo da soli: è attinto dalla nostra natura, vale a dire ci viene dato con la natura (dove la parola “natura” evidentemente nasconde la parola Dio, indizio cioè dell’origine ultima del nostro io).

Inoltre è da distinguere ancora: ciò che troviamo dentro di noi può anche essere frutto della sedimentazione che l’influsso esterno ha agito sopra la nostra esistenza: padre, madre, maestro, zio, nonna, insegnante. [Oggi più che mai possiamo aggiungere: i mass media]

Giussani, quando parlava per la prima volta ad un pubblico nuovo o ai ragazzi nella prima lezione di religione, diceva:

«Se non volete crescere come schiavi alienati, imparate a paragonare tutto quello che io vi dirò, ma anche tutto quello che gli altri insegnanti vi diranno, con la vostra esperienza elementare».

L’esperienza elementare, il «cuore».

Tutte le esperienze della mia umanità e della mia personalità passano al vaglio di una esperienza originale, primordiale. Dobbiamo imparare a paragonare ogni proposta con questa esperienza elementare.

A essa potrebbero essere dati molti nomi: esigenza di felicità, verità, giustizia, ecc…Sono come una scintilla che mette in azione il motore umano; prima di esse non si dà alcun movimento, alcuna umana dinamica.

Aristotele diceva che è da pazzi chiedersi le ragioni di ciò che l’evidenza mostra come fatto. Chiedersi se è vero, o spiegare perché una cosa è evidente, è da pazzi! L’evidenza è lo strumento per accostare la realtà, per affermarsi, per esprimersi. È ciò che mi costituisce.

Di fronte ad un oggetto si possono avere 3 posizioni:

  1. Idealista: l’oggetto è creato dall’energia dell’uomo, dal pensiero. Se non lo conosco non esiste.
  2. Problematicista: non possiamo dimostrare in modo incontrovertibile che l’oggetto esiste.
  3. Realista: l’oggetto esiste perché la conoscenza è l’incontro tra una coscienza umana e una presenza.

Quale dei tre metodi aderisce maggiormente all’esperienza originale?

Se scegliessimo quella più simpatica, o quella che meglio corrisponde al mio stato d’animo, sarebbe un “reagire” e non uno “scegliere”. Non sarebbe razionale!

Quella che corrisponde di più alla mia esperienza elementare è la terza, perché tiene conto di tutti i fattori in gioco: mi salva l’evidenza dell’oggettività dell’oggetto e l’evidenza della creatività della conoscenza, la vitalità della mia capacità conoscitiva.
Ogni altra metodologia cade in un criterio riduttivo.

Per la conoscenza occorrono due cose: l’energia della nostra coscienza e l’oggetto.

Questo concetto ci aiuta a capire che per riflettere su noi stessi abbiamo bisogno, oltre che del contenuto della riflessione stessa, del confronto con il criterio originale di cui siamo tutti dotati.

Una madre eschimese, una madre della Terra del Fuoco, una madre giapponese danno alla luce esseri umani tutti riconoscibili come tali, sia per le connotazioni esteriori che per l’impronta interiore.

Quando diranno «io» indicheranno una molteplicità di elementi derivanti da diverse storie, tradizioni e circostanze, ma indubbiamente indicheranno un volto interiore, un «cuore» direbbe la Bibbia, che è uguale in ognuno di essi, benché tradotto nei modi più diversi.

Identifichiamo in questo «cuore» ciò che chiamiamo esperienza elementare.

L’uomo, ultimo tribunale? Dall’anarchia al senso religioso.

Se il criterio originale è immanente all’uomo, come evitare, tra miliardi di persone, una generale soggettivazione? Il singolo uomo può determinare il suo significato ultimo e quindi le azioni ad esso tese. Non sarebbe questa un’esaltazione dell’anarchia, intesa come idealizzazione dell’uomo come ultimo tribunale?

Solo due tipi di uomini salvano interamente la statura dell’essere umano: l’anarchico e l’autenticamente religioso.

La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito: l’anarchico è l’affermazione di sé all’infinito e l’uomo autenticamente religioso è l’accettazione dell’infinito come significato di sé.

Storia di un anarchico: un ragazzo aveva detto a Giussani che la massima statura dell’uomo è bestemmiare Dio che lo inchioda qui, ma non può impedirgli di ribellarsi. E Giussani gli risponde: ma non è più grande ancora amare l’infinito? Dopo qualche mese è tornato dicendo che prende ogni giorno la comunione. Si è convertito dopo aver riflettuto a lungo sulle parole di Giussani che sono state per lui come un tarlo nella testa.

L’anarchia costituisce la tentazione più affascinante, ma è tanto affascinante quanto menzognera. E la forza di tale menzogna consiste nel suo fascino, che induce a dimenticare che l’uomo prima non c’era e poi muore.
È pertanto pura violenza ciò che può fargli dire: «Io mi affermo contro tutti e contro tutto».

È più grande e vero amare l’infinito, cioè abbracciare la realtà e l’essere, piuttosto che affermare se stessi di fronte a qualsiasi realtà. Perché in verità l’uomo afferma veramente se stesso solo accettando il reale, accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé.

L’esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità costituiscono il volto ultimo, l’energia profonda degli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze.

Noi leggiamo con emozione frasi create migliaia di anni fa da antichi poeti come Omero che parlano al nostro presente proprio grazie a questa esperienza elementare che è uguale in tutti, anche se poi sarà realizzata in modi diversi, anche apparentemente opposti.

Ascesi per una liberazione

Se si vuole diventare adulti senza essere ingannati, alienati, schiavi di altri, strumentalizzati, ci si abitui a paragonare tutto con l’esperienza elementare.

Invece tutto viene affrontato secondo una mentalità comune: sostenuta, propagandata da chi nella società detiene il potere; favorita da una reattività nostra perché noi subito aderiamo a quell’influsso esterno che accarezza la nostra reattività, il nostro istinto, il nostro tornaconto, non la verità di noi stessi.

Così avviene una grande incrostazione che altera l’evidenza dei criteri originali. Uno dice: non sento questa evidenza. Non la sente perché è dentro un sepolcro sotto una montagna di terra.

La sfida più audace a quella mentalità che ci domina e che incide in noi per ogni cosa – dalla vita dello spirito al vestito – è proprio quella di rendere abituale in noi il giudizio su tutto alla luce delle nostre evidenze prime e non alla mercé di più occasionali reazioni.
Anche questi occasionali pareri sono indotti da un contesto e da una storia, e anch’essi debbono essere attraversati.

Il modo di concepire il rapporto tra l’uomo e la donna, per esempio, è in realtà determinato sia dall’istintività propria, che crea valutazioni per nulla in linea con l’esigenza originale dell’affetto, sia dall’immagine di amore creatasi nell’opinione pubblica.

Occorre perforare sempre tali immagini indotte dal clima culturale in cui si è immersi, prendere in mano le proprie esigenze ed evidenze originali. Anche se l’uso dell’esperienza elementare, o del proprio «cuore», è impopolare.

Quel cuore è l’origine del disagio da cui si viene presi quando, ad esempio, si è trattati come oggetto di interesse o di piacere.

L’esigenza dell’uomo e della donna è un’esigenza di amore, ed è purtroppo miseramente facile a essere alterata.

Incominciamo a giudicare: è l’inizio della liberazione. Bisogna accettare la fatica di andare controcorrente.

Si potrebbe chiamare lavoro ascetico. Ascesi è la parola che indica il cammino dell’uomo che cerca la maturazione di sé. In termini cristiani questa fatica fa parte della «metanoia», o conversione.

Per comprendere meglio la premessa del realismo, è possibile ascoltare la spiegazione dalla viva voce di don Luigi Giussani, cliccando sul pulsante play qui sotto.

Punti chiave

  • Un’epoca di ideologie: invece di imparare dalla realtà con tutti i suoi dati, la si manipola secondo uno schema fabbricato dall’intelletto.
  • Che senso ha tutto? L’esperienza religiosa è il fatto più inestirpabile della storia umana.
  • Il metodo è imposto dall’oggetto: occorre un’indagine esistenziale.
  • Giudicare: confrontare quel che si prova con un valore ideale.
  • L’esperienza elementare: confronto con il criterio originale (il «cuore») di cui tutti siamo dotati.
  • La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito: dall’anarchia (affermazione di sé all’infinito) al senso religioso (accettazione dell’infinito come significato di sé).
  • Dall’istinto alla verità: serve un’ascesi per rompere l’incrostazione che non ci fa vedere e per iniziare a giudicare alla luce delle nostre evidenze prime.
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