12 obiezioni al comunismo

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Non ha mai funzionato

Il comunismo ha fallito un po’ dappertutto, causando decine di milioni di morti dovuti a errori di pianificazione economica e carestie. Attualmente è presente ancora in Corea del Nord e a Cuba, ma risultano essere degli stati molto poveri e con forte controllo sociale e repressione violenta dei dissidenti. Il primo è considerato, anche da persone di sinistra, un inferno, una prigione a cielo aperto.

Su Cuba, invece, c’è una menzione favorevole per istruzione e sanità che sono gratuite e funzionano bene, ma quest’ultima appare più come un’eccezione che una regola, e soprattutto sembra l’unico aspetto positivo in un paese di persone prevalentemente insoddisfatte e critiche verso il governo, come si evince dalle testimonianze dirette rintracciabili sul web cercando informazioni su “come si vive a Cuba”.

Tra le problematiche c’è quella dei bassi salari: mediamente un lavoratore cubano guadagna 870 pesos (28 euro) al mese.

Crescita economica

Il libero mercato ha le potenzialità per generare un effetto moltiplicatore della ricchezza, come abbiamo visto in tanti paesi, anche in quelli che hanno abbandonato il comunismo, e come non abbiamo ancora mai visto nei paesi comunisti.

La Cina non costituisce un’eccezione considerando che la sua crescita economica è avvenuta proprio con le riforme che hanno aperto al libero mercato e al capitalismo, dove le imprese hanno liberamente coniato e applicato addirittura il modello 996 (lavorare dalle 9 di mattina alle 9 di sera per 6 giorni a settimana).

Condizioni di lavoro

Si potrebbe però giustamente pensare che sia più umano rinunciare alla crescita economica ottenendo, in cambio, migliori condizioni di lavoro. D’altra parte la ricerca del profitto spinge per l’incremento delle ore lavorative e può portare in alcuni casi a chiudere un occhio sulla sicurezza.

C’è da considerare che anche nei paesi comunisti c’è un dittatore-padrone che ti impone anche severamente di lavorare (diversamente crollerebbe il sistema) e storicamente le condizioni di lavoro non sembrano migliori.

Paradossalmente queste ultime sembrano essere migliorate proprio nei paesi liberali perché le condizioni di lavoro dipendono anche dalla crescita economica generale e dallo sviluppo tecnologico che permette di non svolgere più le attività rischiose o di farlo più facilmente e in condizioni di maggiore sicurezza, nonché di ridurre i costi di produzione e poterci permettere di lavorare di meno.

Possiamo notare che anche in un paese come Cuba ci sono incidenti e morti sul lavoro: 151 nel 2000 e 93 nel 2010; dato quasi in linea con quello italiano, rapportato alla popolazione (circa 700 su una popolazione quasi 6 volte più grande), come indicato in questo approfondimento.

Inoltre c’è da considerare che i dati relativi ai morti sul lavoro a Cuba sono solo quelli comunicati dal governo che avrebbe tutto l’interesse per minimizzarli: il giornale cubano Trabajadores ha sottolineato che gli incidenti non sempre vengono registrati e ciò impedisce un’adeguata prevenzione, oltre che il corretto conteggio.

In conclusione su questo punto, anche la questione delle condizioni di lavoro riguarda il cambiamento dell’essere umano più che del sistema: siamo abbastanza consapevoli che la vita umana vale infinitamente di più del lavoro, del profitto e del sistema?

Motivazione personale

Il libero mercato premia i migliori; le persone possono così trovare più motivazione nell’impegnarsi e nell’eccellere. Nel comunismo si tende a dare tutto per scontato, limitandoti al minimo necessario, essendo garantito. I luoghi comuni sugli impiegati pubblici non sembrano così distanti dalla realtà.

Nei paesi comunisti non è mai stato possibile, ad esempio, abolire davvero le diseguaglianze. Si è rivelata sempre necessaria una diseguaglianza per motivare le persone a svolgere lavori meglio retribuiti, ma che richiedono un certo percorso di apprendimento e certe responsabilità.

Anche a Cuba osserviamo evidenti differenze di retribuzione mensile, pubblicate su Granma, uno dei 3 quotidiani nazionali (ovviamente statali):

  • Giudice: 1300 pesos
  • Ispettore del fisco: 1070 pesos
  • Medico: 600 pesos
  • Infermiere specializzato: 510 pesos
  • Insegnante: 360 pesos
  • Contadino: 331 pesos

Il principio di Karl Marx «da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni» si è rivelato inapplicabile nella realtà anche perché non considera l’umano elemento della motivazione personale.

Il capitalismo distribuisce iniquamente la ricchezza come nel comunismo, ma con una rilevante differenza: retribuisce maggiormente anche chi riesce a far funzionare meglio un’azienda che crea posti di lavoro offrendo servizi migliori alla comunità, motivandolo.

Sviluppo tecnologico

Con il comunismo ci sarebbe stato quello stesso sviluppo tecnologico di cui anche un comunista ora non potrebbe fare a meno?

Ad esempio, ordinare da Amazon usufruendo dei suoi vantaggi è possibile perché un miliardario ha potuto investire grosse cifre e mandare avanti l’attività per anni lavorando in perdita.
Altro esempio: la possibilità di lavorare con il pc da dove e quando si vuole, di usufruire delle tecnologie che semplificano il lavoro. Un comunista è l’ultima persona sulla faccia della terra che vorrebbe prendere una zappa in mano.

Potenzialità della libertà umana

La libertà in ambito economico può essere usata male, quindi il comunismo pretende di abolirla statalizzando e controllando tutto. Non crede molto, però, nel fatto che la libertà possa essere usata bene, limitandola in partenza.

Se usata bene, la libertà umana ha potenzialità di gran lunga maggiori. Pensiamo alle aziende che reinvestono sempre i loro utili generando lavoro e progresso nella ricerca di soluzioni sempre più ottimali e socialmente utili.

La vera sfida è quindi quella di rendere umano il progresso.

Non è come una famiglia

Si potrebbe guardare alla società come a una famiglia: tutti devono avere un compito e tutti devono poter usufruire degli stessi servizi presenti nella casa. Sarebbe impensabile che una persona non abbia un compito o che non avendolo gli sia precluso l’accesso a un bene all’interno della casa.

Bisognerebbe osservare che la società non è una famiglia; è diversa perché è molto più complessa e può presentare problematiche molto più grandi. Tra gli individui non potrà esserci lo stesso tipo di relazione che c’è all’interno di una famiglia, non potrà esserci lo stesso livello di fiducia reciproca, per forza di cose.

Pertanto la modalità migliore con cui è meglio si organizzino milioni di individui che non si conoscono e sono molto diversi tra loro potrebbe differire rispetto a quella adottata da un gruppo di poche persone con un forte legame affettivo e che devono occuparsi di faccende molto più semplici rispetto a quelle di uno stato.

Manipolazione televisiva e consumismo

Si può pensare che il disastro umano e culturale causato dalla televisione a partire dagli anni 50-60 sia derivato dal capitalismo e che con il comunismo questo non sarebbe successo. Il vero nocciolo del problema, però, è la visione materialistica dell’essere umano che è ridotto a oggetto di consumo.

Questo è un problema che purtroppo accomuna capitalismo e comunismo. Se il primo ha un’impronta più commerciale, il secondo ne ha una più ideologica, ma alla fine – principalmente a causa della televisione – il problema sarebbe stato lo stesso.

Pensiamo a come una tv di regime avrebbe ugualmente usato questo strumento per rivoluzionare i costumi sessuali, ad esempio, nello stesso modo in cui lo ha fatto il capitalismo, dato che entrambe le parti si sono scoperte molto concordi tra loro su questa posizione.

Ciò non sarebbe avvenuto, ovviamente, in funzione dell’espansione capitalista, bensì di quella ideologica, e sarebbe stato ugualmente efficace nella liquefazione delle relazioni affettive e nella riduzione del corpo umano a istintualità e quindi a oggetto di consumo.

L’esempio lo vediamo a Cuba, dove il regime promuove, in maniera specifica e insistente, programmi televisivi e soap opera che rappresentano questa visione del corpo e delle relazioni, esattamente come la multinazionale multimiliardaria statunitense Netflix.
Nel 2022 a Cuba è stato anche indetto un referendum, da tenersi, sulla maternità surrogata (utero in affitto).

Come dice il poeta Davide Rondoni, solo il sacro si oppone al consumo. Al di fuori del sacro è tutto consumo.

Democrazia e dittatura

Anche se capitalismo e comunismo hanno la stessa visione dell’essere umano, c’è una differenza che potrebbe portare a temere maggiormente il secondo: il fatto che è una dittatura, per sua natura violenta verso gli oppositori; non prevede pluralità.

Insomma, se la maggior parte della popolazione non fosse d’accordo sulla visione dell’essere umano imposta dal regime, non potrebbe fare nulla per far valere la sua posizione. Se anche il popolo riuscisse a redimersi, al contrario che nelle democrazie capitaliste troverebbe di fronte un muro o dei soldati violenti.

Barbarie: carestie e genocidi

È vero che il comunismo, come qualsiasi ideologia, nasce con le migliori intenzioni, ma poi è fondamentale valutare anche le conseguenze pratiche.

Rosa Luxemburg diceva: «socialismo o barbarie», ma se pensiamo alla violenza che questa ideologia ha innescato in tante persone, e alla miseria prodotta, causando circa 100 milioni di morti tra crimini e carestie, non rimangono molti dubbi su dove siano le barbarie.

Basti pensare ai morti causati dal Terrore rosso, dalle Grandi purghe in Russia sotto il regime di Stalin, dalla carestia indotta Holodomor in Ucraina (riconosciuta dall’ONU come un genocidio), da Mao in Cina, dai Khmer Rossi nel genocidio cambogiano, giusto per fare alcuni esempi rilevanti, oltre che dal terrorismo rosso che ha colpito tantissimi paesi. In Italia abbiamo avuto le Brigate rosse e i crimini gratuiti commessi dai partigiani comunisti, come l’uccisione in odio alla fede di centinaia di preti tra cui il seminarista quattordicenne Rolando Vivi.

La risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 ha equiparato sul piano storico il comunismo al nazismo, specificando che:

«i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità».

Questi non sono stati orrori casuali dovuti a una errata interpretazione o a una errata applicazione della teoria. La violenza è insita nell’ideologia stessa, come possiamo notare in tipiche espressioni come “lotta di classe”, “dittatura del proletariato”, “nemico del popolo”, “lotta armata” e “rivoluzione” che nella letteratura marxista (e poi anche nella tragica pratica che ne è derivata) è appunto una rivoluzione politica “violenta”.

Il problema è che la violenza genera solo altra violenza. Solo l’amore e il perdono hanno la capacità di fermarla, come ci ha insegnato Gesù e come cantava il cantautore cattolico Claudio Chieffo nella Ballata del potere: “Ora tu dimmi / come può sperare un uomo / che ha in mano tutto / ma non ha il perdono”.

Irreligiosità: come nel capitalismo

Storicamente nei paesi comunisti vige l’ateismo di stato, come anche attualmente in Corea del nord. A Cuba, invece, è stato abolito nel 1992 e la libertà religiosa recentemente viene concessa, nel senso che non perseguitano chi la pratica, tuttavia la posizione della popolazione religiosa, anche se è la maggioranza, non può avere alcuna rilevanza pubblica: l’opposto della tanto decantata “inclusione”.

La religione a Cuba è sottoposta a rigidi controlli. È illegale l’attività svolta da organizzazioni non registrate. Attività come organizzazione di convegni, importazione di pubblicazioni religiose e invito di religiosi stranieri devono essere valutate e autorizzate dal governo. Inoltre è vietato insegnare religione nelle abitazioni private.

Anche l’irreligiosità è un aspetto in comune con il capitalismo, ma anche in questo caso appare rilevante la differenza tra una dittatura e una democrazia capitalista dei nostri tempi. Entrambe sono repressive e totalitarie, ma la seconda lascia aperto qualche spiraglio.

Materialismo: come nel capitalismo

Il comunismo fa del materialismo il fulcro del suo pensiero: il bene dell’uomo dipende da questo. Perciò chi possiede di meno sta subendo un’ingiustizia che va al più presto sanata, dato che chi ha di più ne sta godendo ingiustamente.

Anche nella mentalità capitalista regna una grande fobia verso la povertà, ossia verso quel mondo che non gode del superfluo, e l’idea di benessere (di felicità) coincide con il potere, il possesso e il consumo.

Ora, se fosse così facile non avremmo avuto grandi filosofi, romanzieri, poeti e artisti che hanno cercato il bene dell’essere umano in ben altre dimensioni. Eppure potrebbe bastare la nostra esperienza a dirci che, quando otteniamo qualcosa di nuovo, alla fine non siamo mai soddisfatti e vogliamo sempre di più.

Aldilà di questo, nei paesi capitalisti esistono problemi molto grossi, ma sicuramente non urge il problema materiale. In altre parole, proprio utilizzando il criterio strettamente materiale, il liberismo sembra aver dimostrato ampiamente di perseguire questo scopo meglio del comunismo e di aver spazzato via tanta povertà. Un povero di oggi è molto più facoltoso di un ricco di ieri, anche se le diseguaglianze sono aumentate.

Tuttavia – ammonirebbe giustamente un comunista – ciò non vale in tutto il mondo. Anzi, c’è una parte del globo ancora molto povera che coincide soprattutto con l’Africa. E quindi questa diseguaglianza sarebbe imputabile al sistema capitalistico che si arricchisce sempre di più ignorando i più bisognosi che vivono in altre parti del mondo.

Dato che l’occidente, ma anche la Cina e altri, vivono per il superfluo, non sarebbe giusto redistribuire i beni prodotti in eccesso a chi ha difficoltà ad accedere anche a quelli essenziali?

Sarebbe giusto, assolutamente sì, ma questo come può avvenire se l’essere umano non si rende conto che nella vita donare è più bello che consumare? Come può avvenire se la nostra attenzione è incentrata sul cambiare il sistema più che sul cambiare la persona?

Se non cambia questo, se al bisognoso non si trasmette anche questo, come potrà lui stesso – una volta risolto il problema materiale – non trasformarsi in un padrone o in un consumatore? Quanti ne abbiamo visti di ex-poveri o ex-rivoluzionari cambiare i propri ideali appena indossata una cravatta? Tanti e troppi, perché – aldilà delle apparenze e delle ideologie – erano fatti della stessa pasta.

Anche se volessimo cambiare direttamente il sistema occorrerebbe convincere chi, invece, non vuole che cambi (e oggi ormai non lo vuole quasi più nessuno). O devi fargli una guerra con spargimenti di sangue (ma ne abbiamo viste già troppe e il mondo non è cambiato se non in peggio) oppure deve prima avvenire un cambiamento interiore.

Bisogna ripartire dall’essere umano e dalla sua dimensione spirituale: l’unica che lo slega dall’attaccamento alle cose, l’unica che lo libera davvero.

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