Lettera di un insegnante a Babbo Natale

Articolo di Valerio Capasa pubblicato su IlSussidiario.net il 25/12/2023.

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Caro Babbo Natale,
anche quest’anno sono stato un cattivo insegnante.

Non mi sono lasciato irretire dalle vetrine colorate, dalle strade affollate e dalle luci artificiali. La scuola ne è piena quanto il mondo, sai? Ti prego, mandaci almeno una renna per asfaltare i PCTO, l’orientamento, i potenziamenti dell’offerta formativa, le settimane corte, gli Open Day e tutta questa sarabanda di inconcludente pubblicità e di regali ben infiocchettati ma inutili e non richiesti.

Sono stato anche un cattivo genitore. Mentre il coro ripeteva assordante “scarta la carta! butta via la carta!”, io, imperterrito, ho detto no: mia figlia continuerà a usare, come nel millennio scorso, libri quaderni penne e matite anziché l’iPad. Dicono che il futuro è il digitale; io continuo a credere, invece, che il futuro abbia a che fare con la voglia di vivere, e quella non si vende così a buon mercato: è un caso insolito e fortuito, incontrare chi ti contagia il gusto delle cose e te ne fa intravedere il senso.

Quindi perdonami, Babbo Natale, ma sappi che, mentre il mondo corre dietro all’ultima moda (che presto butterà via come tutti gli altri giocattoli che ieri spacciavano per imprescindibili), ho continuato a fare quel che si faceva una volta: l’antica lezione di letteratura.

Ci siamo letti per intero i libri di vecchi scrittori di nome Omero, Seneca, Dante, Pirandello. Non sai quanti sprazzi di verità! Ci sono ragazzi a cui brillano gli occhi, credimi. E non c’è stato bisogno di problem solving, debate and flipped classroom: lezioni frontali, frontalissime, ex cathedra, con le usanze medievali di lectio, explicatio, quaestio, disputatio, quodlibet.

Già che ci sono, devo confessarti anche la colpa più grave di tutte. Un po’ me ne vergogno, ma tanto vale ammetterlo… Ebbene sì: non ho visto il film della Cortellesi. Mi rendo conto, è imperdonabile. Non ci ho neanche (de)portato le mie classi. Non che abbia qualcosa contro, figuriamoci. La ammiravo già quando da adolescente cantava Cacao meravigliao. Ho gusti un po’ triviali, mi spiace.

A proposito, c’è un vecchio film – anch’esso trivialissimo – che andrebbe rivisto, perché sarà pur vero che “c’è ancora domani”, ma credimi: “c’è ancora ieri”. Si chiama Vieni avanti cretino, con Lino Banfi. Mi piacerebbe che, nelle aule immersive che grazie al PNRR sostituiranno le obsolete biblioteche scolastiche, si proiettasse almeno la scena del dottor Tomas.

In un laboratorio cibernetico il direttore spiega al nuovo impiegato in cosa consista il suo lavoro: si tratta solo di alzare e abbassare due leve ai suoni di un cicalino. Rosso, verde: “semplice, semplicissimo”. Beh, già che c’è, se non gli dispiace, va anche attivata una telescrivente. Ah, “già che sta qui, sempre che non le dispiace”, dovrebbe rispondere al telefono, poi zufolare in un avvisatore acustico, eccetera eccetera.

In un crescendo di richieste deliranti che non lasciano un secondo di respiro, il dottor Tomas alterna frasi compiaciute come “la sua soddisfazione è il nostro miglior premio” a tic irrefrenabili, fin quando a impazzire è ovviamente Lino Banfi, a cui “è rimasto il sedere libero: già che ci sono, do una pulitina all’ambiente”.

Non sarà Isaia, ma io ci vedo la profezia di come la nostra scuola stia facendo impazzire i ragazzi. Già che se ne possono fare 4, di ore, facciamone 5, e – perché no? – 6. E cosa vuoi che sia una settima ora di fisica o di filosofia? Pretendevi pure di mangiare, all’ora di pranzo?!? Magari a casa con i tuoi genitori, no? Come, un’orettina in più non la faresti, se in palio c’è l’indispensabile matematica in inglese del Cambridge che ti garantirà fin dalle medie il B1?

Infila nello zaino 4 libri, no 5, anzi 6, facciamo 7, più la cartellina, il cartellone, il raccoglitore, la tastiera, il violino, il panino… E adesso prova un po’ a camminare, se ci riesci, ora che ne hai le (s)palle piene. Le palle sono diventate troppo grosse, Babbo Natale, l’albero non le regge. Qui non si cammina più.

«Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando
ci dovremo educare perfino alle relazioni
sarà l’ennesima cosa da fare
e noi ci siamo già rotti i coglioni
saranno 30 ore in aggiunta al PCTO
e verrà escluso dalla scuola inclusiva chi oserà provare a dire no
sparirà il patriarcato e luce tutto il giorno…»

La luce, Babbo Natale: ci sono ragazzi che arrivano a scuola alle 8 e finiscono alle 17, i pendolari rientrano a casa alle 18. Entrano che c’è luce ed escono che c’è buio. Lo dico anche a livello esistenziale: qui è buio pesto, e le lucine intermittenti servono poco.

Nei giorni dell’omicidio di Giulia Cecchettin, a Bari è morto un ragazzo mentre veniva a scuola e due si sono suicidati: uno si è steso sul binario a pochi metri dalle luminarie e dalle giostre di una festa patronale. Non si contano le assenze, i disturbi alimentari, gli attacchi di panico: chi mai li aveva visti appena qualche anno fa?

Cose lontane lontane, di cui nemmeno si parlava, e adesso ce le abbiamo quotidianamente davanti agli occhi. Non potresti regalare nuovi occhi agli adulti? Sai, questi problemi sono in troppi a non vederli. Loro interrogano, ma non si interrogano.

Hanno una ricetta meravigliosa: non studiano? Facile: devono studiare. È un po’ come dire a una ragazza anoressica: non mangi? Facile: devi mangiare. Hanno la faccia di bronzo di proporre come risposta a un problema quella che spesso ne è la causa. Geniale.

Anche adesso, vedi, dopo anni in cui hanno prodotto il veleno di relazioni tossiche, si autoproclamano detentori pure dell’antidoto: educazione alle relazioni. Ci hanno fatto ballare sulle macerie del nostro “nichilismo gaio”, e adesso vengono a farci i predicozzi. Sempre gli stessi, mantengono il monopolio del bene e del male. “Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”.

Sono i nuovi preti, assetati di omelie e di inquisizioni. Me li vedo già: gli ennesimi lavori di gruppo (cooperative learning, scusate) e altre maledette slides. Poi le verifiche a risposta multipla, come quelle di educazione civica: “A una ragazza si danno: 1. schiaffi; 2. coltellate; 3. fiori?”. Risposta corretta: “Fiori”. Bravo! Voto: 9. Moriremo di retorica, altroché: di sloganicidio. Chi ci salverà?

In passato si aspettava Gesù: la prima, la seconda, la terza domenica d’Avvento… Roba superata! Non c’è più bisogno che un dio scenda dalle stelle: sei tu la star! La domenica c’è il primo Open Day, poi il secondo, il terzo, il quarto Open Day… Ogni domenica mattina, tra i flauti che incantano e i magici esperimenti di laboratorio, non trovi l’ombra di ansie o fallimenti o sovraccarichi, nessun Erode fa l’acido con gli studenti.

Adeste fideles, laeti triumphantes: lo vedi, nel presepe, il gregge delle pecorelle, ammaestrate dai loro pastori? Li senti gli zampognari dell’orchestrina? Gli asinelli teniamoli nascosti nella grotta, insieme ai vagiti dei poppanti, che devono smettere in fretta di lagnarsi e procacciarsi quanto prima oro, incenso e mirra, altrimenti resteranno a fare i falegnami come il loro papà.

Le domeniche di dicembre una stella cometa vi guiderà alla migliore delle scuole possibili, dove le porte sono aperte e nessuno rimarrà al freddo e al gelo. Vendono la terra promessa del futuro, in cui tutti saranno affermati e performanti, questi chiariferragni che bluffano non sui pandori ma sui figli. Non si potrebbe, Babbo Natale, organizzare un bel Closed Day?

Scusami, Babbo Natale, riprenditi il tuo sacco pieno di bisogni indotti e smetti davvero di esistere. Qui c’è chi non ti crede più, da tanto tempo. Non sei tu il Messia. Lasciaci qui, brutti e cattivi: non ci interessa farci ingozzare e partecipare alla corsa dell’ultimo acquisto; abbiamo bisogno di tempo e di spazio, almeno una grotta, per continuare a leggere, scrivere, pensare, conoscere, incontrarci, veder crescere di intelligenza e di passione i ragazzi, starci insieme perfino durante le vacanze, volere il loro bene, aspettare la luce vera. Dona a noi la pace di sperare che c’è ancora domani.

Valerio Capasa
Si è realizzata la profezia di Dalla e Lino Banfi, chiediamo solo di vivere su ilSussidiario.

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