Lucio Dalla racconta la sua fede cattolica

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Lucio Dalla perde suo padre, a causa di un tumore, quando aveva solo 7 anni. In un’intervista rilasciata nei primi anni 80 dirà:

«Avevo sette anni… Provai la sensazione struggente di una perdita che mi consentiva di dire a me stesso con pietà e tenerezza: da oggi sei solo come un cane. Così ho imparato a fare della mia vita un modello di solitudine, cioè a cercarmela, a organizzarmela, a viverla, questa mia solitudine, come un momento di benessere profondo, necessario per una corretta lettura dell’esistenza».

Intervista con padre Vito Magno (2000)

Lucio Dalla: Io sono cristiano, sono cattolico, credo in Dio e professo la mia fede continuamente, nel senso che è uno dei miei punti fermi e una delle poche certezze che ho, che non mi proibisce di immaginare, di sperimentare anche possibilità che non contrastano con la mia certezza religiosa, ma che fanno parte della mia struttura di uomo contemporaneo.

Padre Vito Magno: Considerando le sue canzoni degli ultimi anni i critici parlano di un Dalla diverso e anche un po’ convertito…

Lucio Dalla: Non sono un convertito, perché credo in Dio da quando sono bambino e credo che siano valori assolutamente umani. La ricerca della libertà, la ricerca dell’equilibrio e la ricerca della ricerca, il continuo meccanismo di credere, è quello che fa la differenza tra l’uomo e le macchine. Per cui io credo nella libertà, nella tolleranza, nel riconoscimento di tutte le confessioni, perché credo che sia importante e che una società come la nostra, che va verso una società più complessa, più enigmatica, come quella delle macchine, abbia bisogno di fede. Naturalmente credo in Dio perché è il mio Dio, è il Dio che riconosco negli uomini, nell’umanità, è il Dio che riconosco nei poveri, nella gente che ha bisogno di aiuto, e che io considero gli uomini del domani. Rispetto con grande fascino la decisione di Cristo di nascere povero, di nascere in mezzo alla gente diseredata, perché è la gente del futuro. Io credo che dopo 2000 anni, anche oggi, la gente diseredata, i migranti, la gente del Terzo Mondo, sia la gente del futuro.

Padre Vito Magno: Tempo fa lei ha cantato alcuni Salmi. Cosa la colpisce di questi componimenti poetici dell’Antico Testamento?

Lucio Dalla: La cosa che mi ha colpito dei Salmi è la grande forza dirompente delle parole. Noi abbiamo oggi, in una società che si sta trasformando praticamente da società della parola a società dell’immagine, uno scadimento della forza protettiva della parola e credo che i Salmi siano l’opposto di questa mancanza di energia. Nei Salmi la parola è dinamite pura, è proprio costruzione, la fondazione della parola stessa. Quindi mi sono avvicinato ai Salmi in maniera laica, da artista, per avere la conferma della grandissima esistenza, a livello di comunicazione, della forza del credere.

Padre Vito Magno: È interessante addentrarsi nella Sacra Scrittura. Lei teme di farlo?

Lucio Dalla: Mi manca la conoscenza teologica e storica per farlo. Però sento con l’intensità dell’artista o comunque dell’uomo che è abituato a guardare anche cosa c’è sotto i sassi, per intuire le cose che si muovono sopra la nostra testa e dentro la nostra anima, che il mistero è ancora un mistero. Per cui mi sembra che in un’epoca di computer, di macchine, di conoscenza umana che sempre più, con un’escalation e con un’accelerazione impressionante, va diventando totale, questo mistero sia un mistero destinato a scoprirlo solamente chi viaggia nell’anima e non nella conoscenza scientifica.

Fonte: “Lucio Dalla: il suo rapporto con la fede” su Il blog di Profrel.

Lucio Dalla devoto all’Opus Dei e contro l’aborto (Petrus, 2008)

Intervista rilasciata al quotidiano cattolico online Petrus nel gennaio 2008.

Maestro, Lei per anni ha partecipato ai Festival dell’Unità e ai raduni comunisti. A Settembre, invece, si è esibito alla cattolicissima “Agorà dei Giovani” di Loreto. Sarà mica stato folgorato sulla via di Damasco?

La ringrazio per l’opportunità che mi dà per sfatare questa leggenda: non sono mai stato né marxista, né comunista. Se mi sono esibito alle manifestazioni di sinistra è perché sono un professionista: gli organizzatori mi hanno pagato ed io ho cantato. Punto. Non credo che un cattolico – perché io tale sono – debba rifiutare le offerte che gli vengono fatte solo per una questione ideologica. Detto ciò, reputo che il marxismo, come ha sottolineato il Papa nella sua ultima Enciclica, contenga alcuni elementi in comune con il cristianesimo, anche se ha fatto, sbagliando, un mito dell’economia. La pancia piena non è il solo traguardo possibile per l’uomo, che ha il diritto di esprimere liberamente le sue idee e le sue credenze religiose.

Si racconta che Lei sia una sorta di maniaco della perfezione nel lavoro.

È così. Io credo nella ricerca del bello, nella santità e nella mistica del lavoro, che poi vuol dire santificarsi per mezzo della propria professione.

Una logica che coincide con quella di San Josemarìa Escrìva, il fondatore dell’Opus Dei…

Esatto. Sa, apprezzo molto questo Santo.

Lucio Dalla cattolico e devoto dell’Opus Dei: chi l’avrebbe mai detto?

Che c’è di male? Trovo il messaggio di San Josemarìa di straordinaria attualità. Il Santo spagnolo non faceva del lavoro un idolo, ma affermava che qualsiasi attività, anche la più semplice, deve essere eseguita con scrupolo, professionalità e dedizione. Così ci si santifica nel lavoro e si santifica il lavoro.

Ci parli di qualche altro segno distintivo del Dalla credente.

Certo. Reputo l’aborto, ad esempio, una cosa negativa. La vita va difesa sempre e comunque, dal suo momento iniziale sino alla fine naturale. Personalmente, nell’esistenza di tutti i giorni, anche attraverso la mia affiliazione all’Opus Dei, cerco di contrastare ogni forma di ateismo e di secolarismo, fenomeni che, lamentabilmente, mortificano purtroppo i nostri tempi.

Ci parli della sua visione di Dio…

La ricerca del divino e della trascendenza fanno parte della natura umana. Nessuno può impedire all’uomo di aspirare al divino, al trascendente. Dio è in ogni luogo, nel volto degli uomini, nel sorriso di un bambino, anche in una canzone ben eseguita.

Ha letto l’Enciclica del Santo Padre sulla Speranza: che impressione le ha fatto?

L’ho trovata ineccepibile. Papa Benedetto XVI ha dimostrato ancora una volta di essere un grande e fine intellettuale. Qualche “bello spirito” vuol farlo passare per nemico della ragione, ma il livello della sua catechesi è così elevato da sfuggire a quelle menti che ricercano, nel mondo attuale, solo l’insulto. Il Papa afferma, saggiamente, che fede e ragione devono e possono essere amiche e che non sono affatto categorie contrapposte. Io la penso come lui.

Se dovesse dedicare una canzone al Pontefice, quale sceglierebbe?

Senza dubbio la mia Inri, nella quale si parla di due angeli, uno che rappresenta il bene, l’altro che rappresenta il male. Dio, nella sua perfezione, ha creato il concetto di libertà. La libertà, però, non rappresenta un arbitrio, ma implica la responsabilità. Ognuno può scegliere tra bene e male, e Dio non lancia anatemi. Alla fine giudicherà nella sua infinita misericordia, e sarà giudice sì severo ma buono. La salvezza è alla portata di tutti. Molti si chiedono, ed è spesso causa di crisi della fede: come è possibile la presenza del male nel mondo? Le sofferenze servono a forgiare e fortificare la nostra fede. Oserei dire che certe volte il male è necessario. Del resto, il diavolo nel deserto ha tentato Gesù, che seppe resistere dandoci un altro grandissimo esempio di fortezza davanti alle tentazioni.

Sappiamo che lei si interessa anche di dialogo interreligioso…

Sì, e lo ritengo necessario, a condizione di non perdere la propria identità.

Da addetto ai lavori, che ci dice del canto gregoriano?

Solo gli ignoranti lo possono screditare. Rappresenta un patrimonio della nostra storia. E poi a me piace anche la Messa tridentina per la sua ricchezza di spiritualità. Bene ha fatto il Papa a liberalizzarla.

Maestro Dalla, per terminare: l’Italia può avere speranza in un futuro migliore?

Guai a vivere senza speranza. Ma ognuno deve fare attivamente la propria parte senza rassegnazione.

Fonte: Il cattolico Lucio Dalla: “Quale marxista? Io mi ispiro all’Opus Dei” su Petrus (web archive).

Intervista rilasciata a Famiglia Cristiana (2008)

Le tue dichiarazioni hanno fatto notizia, eppure non hai mai fatto mistero di essere cattolico…

Cattolico praticante, certo, non è mica una vergogna. Come non è una novità il fatto che ho sempre votato a sinistra. L’equivoco è nato quando ho detto che il lavoro santifica. L’ho detto perché ne sono convinto: il lavoro, qualunque lavoro, se è fatto bene, l’artista come l’insegnante o l’elettrauto, è un modo per rendersi utile alla società».

A questo punto sei stato “arruolato” nell’Opus Dei…

Io non conosco Escrìva, non sapevo nemmeno che fosse santo. Non è mica san Francesco. Però, se dice queste cose sul lavoro, le trovo giuste e mi associo. Del resto, se anche fossi stato legato all’Opus Dei, non l’avrei dichiarato con la stessa facilità con cui uno dice che è della Juventus: e poi credo che i primi a esserci rimasti male siano proprio quelli dell’Opus Dei. Da quanto mi hanno detto sono molto rigorosi e con una forte identità: arriva uno con l’orecchino, per di più di sinistra…

Non sei stato legato nemmeno ad altri gruppi o movimenti ecclesiali?

No, mai, e non perché mi facciano schifo. Non amo appartenere a un gruppo, non mi sono mai nemmeno iscritto al Rotary. Ho sempre votato a sinistra, però se quelli di sinistra mi dicono che Dio non c’è io li mando al diavolo.

Quanto è importante la ricerca di Dio, nella tua musica?

Più che di una ricerca parlerei di una presenza. Non è che vada fuori con la pila: io sento Dio nelle cose della mia vita, nel mio lavoro, negli esseri umani, nel fatto che c’è il sole la mattina e la luna di notte. Cioè io credo di vivere, cerco di vivere – a volte non coerentemente – da cristiano. D’altronde, chi conosce le mie canzoni sa che ne ho sempre parlato, a cominciare da Gesù Bambino, che allora risultò una novità, perché mettevo Gesù tra la gente.

Anche la tua visione della vita, quindi, è coerente rispetto alla tua fede…

Coerente… Io non sono un prete e nel mio modo di essere cristiano non è che i preti vengano in prima linea, però vado a Messa fin da quando ero bambino e non è che mi diverta molto. Partecipo alla Messa, poi preferisco restare in chiesa da solo e pregare, fare quello che fa un cristiano. Dare un senso alla mia vita soprattutto attraverso il lavoro, cercando di dare il meglio, perché è l’unico messaggio che possiamo offrire. Se mi va di prendere in giro la gente non lo faccio con il mio lavoro e poi la gente io non la prendo in giro. Mai.

Però sei anche attento al magistero della Chiesa…

Certo. Cerco di approfondire, m’informo, leggo. Il cristianesimo mi intriga e sono affascinato dalla figura di Gesù Cristo, sia come Dio sia come uomo. Di lì in poi è cambiato tutto.

Gli hai perfino dedicato una canzone, che si intitola Inri.

Non una, molte: Gesù bambino, Se io fossi un angelo… È una costante perché, lo ripeto, il cristianesimo è una cosa che sento moltissimo, che cerco di vivere, soprattutto per l’aspetto sociale. Gesù poteva nascere in una reggia come in una sala da ballo, però ha scelto di nascere tra i poveri del mondo ed è già una cosa che mi affascina. Per questo la gente che ha meno di me, che fa fatica a vivere, ha un posto primario nella mia valutazione delle cose. Sono più comprensivo, credo sia il dovere di ognuno aiutare chi è meno fortunato. Poi bisogna partecipare alla Messa: io vado a San Domenico, qui a Bologna, perché c’è padre Barzaghi, che è un amico, però quando ero in Irlanda sono andato in una chiesa protestante e ho preso parte alla funzione. Dio c’è da tutte le parti, si può pregare pure in una discoteca.

In Inri parli anche del male…

È una canzone forte, non bacchettona. Il male c’è perché c’è il bene. Semplificando le cose, il grande senso libertario e democratico della nostra fede è dato dalla possibilità di scegliere l’uno e l’altro. Noi dobbiamo vivere il bene, ma il male lo incontri persino per strada. Io rispetto moltissimo le altre religioni, perché l’importante è che uno creda: nel suo Dio ma anche nella vita, nel lavoro, nella voglia di aiutare il prossimo. È certo, però, che non sono buddhista: sono cristiano e credo che la morte sia solo la fine del primo tempo.

Stai per compiere 65 anni. Se adesso dovessi fare un bilancio della tua carriera, da Piazza grande fino a Tosca, ci sono momenti della tua arte ai quali sei più legato?

No. Però era l’unica cosa che potevo fare, anche se oggi ne faccio molte altre, ma tutto è partito da lì. Io sono venuto al mondo per fare quello che ho fatto, magari avrei potuto riuscire meglio o peggio, ma l’ho fatto con grande partecipazione e intensità. Oggi mi occupo di regia, insegno a Urbino perché insegnando impari. Io faccio tutto quello che mi piace, ma quello che preferisco è mettere a disposizione il mio lavoro per essere utile a chi ha meno di me.

Nella tua formazione è stato importante l’incontro con padre Pio?

Di questo non ho mai voluto parlare. È una cosa personale e voglio tenerla per me. Non mi sembra giusto seguire il flusso. E poi non aggiungerebbe niente. Come si fa a dire qualcosa che non sia già stato detto? Cosa faccio, alzo la mano e dico “anch’io?”. No grazie, non mi interessa.

Fonte: Dalla: nelle mie canzoni c’è Gesù su Famiglia Cristiana.

Intervista con De Carli (2009)

Sei d’accordo su quanto ha detto Benedetto XVI che l’arte, quindi anche la musica, è “epifania della bellezza di Dio”?

Assolutamente. A prescindere dal fatto che l’abbia detto il Papa. Io sono convinto di questo, perché è uno dei regali che il cielo fa alla nostra anima. Questa è una delle fonti della nostra ispirazione.

Sei “esperto” di Papi. Hai cantato al concerto eucaristico di Bologna davanti a Giovanni Paolo II. Il primo concerto rock con un Papa presente. C’erano anche Celentano, Morandi, Bob Dylan.

Quello fu uno dei grandi incontri della mia vita. Io, se ricordi, ero uno dei co-produttori dell’evento e suonai con Petrucciani.

Quel concerto fu anche un capolavoro di Bibi Ballandi.

Sì, e la serata fu straordinaria anche per le emozioni che ci trasmise. Ho ancora negli occhi lo sforzo di Giovanni Paolo II di alzarsi per andare incontro a Petrucciani e quello di Petrucciani di salire, senza riuscirci, i gradini, che lo separavano dal Papa. Ci fu solo un abbraccio a distanza. Ho cantato per Papa Wojtyla in San Pietro e alla Sala Nervi in Vaticano.

E sei riuscito a dirgli qualcosa?

Non molto. Mi sono stupito per l’affabilità del Papa nei confronti delle manifestazioni artistiche. Lui che aveva fatto l’attore, che aveva una bellissima voce come cantante. Stavo per musicare dei testi scritti da Karol Wojtyla. Io sono credente.

Credente ma forse non praticante.

No, sono assolutamente praticante, magari con grande sforzo, ma praticante.

Questa, perdonami, non me l’aspettavo.

Io non perdo una messa, perché è l’unico obbligo, diciamo così, “tecnico” della mia fede. La vivo come una piccola costrizione, ma fa parte del mio rapporto senza interruzione col mio credere.

Avevi già fatto una cosa bellissima: musicare i Salmi. Nella tua carriera è un’impresa luminosa.

Noi veniamo da lì. È il nostro linguaggio. La parola è ancora viva perché ha una matrice metareligiosa. È stato un lavoro massacrante sulla lingua, sull’ethos spirituale dei Salmi. Oltretutto era musica inedita e la facevo trasportato dal grande pathos linguistico di quei versi, dalla loro profondità così anomala rispetto ad una società come la nostra. Un lavoro che mi ha coinvolto in pieno.

Ho letto che sei stato intrigato anche dalle poesie di Alda Merini.

Sì, nel 2008 con Marco Alemanno ho realizzato un reading su “Francesco. Canto di una creatura” della Merini nello scenario suggestivo della Basilica Superiore di Assisi. Una esperienza ripetuta a Milano nella Basilica dei Frati Minori Cappuccini.

Le tue canzoni sono sempre canzoni molto evocative. Ecco, più che non la rima cuore-amore con una spruzzatina di sesso, ci danno atmosfere. Sono mondi, visioni della vita. Possiamo definirle così?

Anche secondo me. Non sono neanche punti di vista che sono una forma riduttiva, anche se precisa. Ho sempre cercato di interpretare l’aspetto più umano, più legato agli uomini, quindi, per forza di cose, legato a Dio. Io, personalmente, mi sento dentro un’ampolla che mi connette con l’esterno. Di notte, ad esempio, vado a concentrarmi sulla terrazza di casa mia a Bologna. Non c’è niente che mi divide dal cielo, neanche dal cielo che ho dentro. Le cose mi ronzano intorno: il fischio di un treno lontano, l’abbaiare dei cani, la sirena di una croce rossa, suoni e visioni. Non vorrei essere sacrilego: comincio con le preghiere classiche, dopo viene questo “mantra”. È un’unione di segni che mi danno una grande piacevolezza e pienezza di spirito, è il momento artistico. Hai capito? E ciò parte dalla convinzione che dentro ogni uomo c’è Dio. Non è un dubbio, è una certezza. Dentro di me c’è Dio. È una unione spirituale che avverto ogni volta che mi metto a pregare. […]

Prima togliamo i crocifissi, poi i presepi. E poi ?

Io giro con il mio rosario da boyscout e, vicino al mio rosario da boyscout ho una stella di David. I segni rafforzano la convinzione e, soprattutto, credo che un segno così preciso è fondamentale nella nostra comunicazione, da Cristo in poi. Fa parte del nostro DNA, del nostro spirito. Quando Attila venne a Roma per metterla a saccheggio fu fermato da Papa Leone I che innalzava una croce grandissima. Gli unni si fermarono, memori del fatto che, quando pregavano, piantavano nel terreno le spade con l’elsa a forma di croce. Il simbolo è stato più forte della vendetta e della sete di conquista ; ha agito da deterrente. Attila non poteva combattere contro quel simbolo davanti al quale il suo popolo si prostrava. E girò il cavallo e se ne tornò indietro. Per chi crede nello spirito di Dio fu un miracolo. Il linguaggio simbolico funzionò. La croce è la nostra cultura e mi piacerebbe che accanto alla croce ci fosse la stella di Davide e – perché no – la mezzaluna dell’Islam.

“E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino” versi della tua canzone “4/3/1943”. La sacralità del nome non è come un timbro postale, è un processo di avvenimenti, supera le nostre meschinità. Perché, Lucio, i tuoi fan e non solo, dovrebbero acquistare il tuo ultimo album “Angoli nel cielo”?

È uno dei dischi migliori che ho fatto, forse è tra i primi tre di tutta la mia storia. C’è un rapporto diretto coi giovani. C’è una canzone che si chiama “Controvento”. Io immagino di parlare con un ragazzo cui do istruzioni per navigare controvento, per essere lui il protagonista del viaggio, per difendersi dagli sciacalli della terra che ti insegnano a vivere male. La frase finale dice: “Gesù Cristo era un pezzente, tutto meno che potente, sporco e nudo sulla croce per non diventare un re”. C’è il rifiuto della ricchezza e dei privilegi. I valori in gioco sono altri.

Ci stai abituando a tanti strappi. L’ultimo?

Ma sai, strappi fino ad un certo punto. C’è una correzione della mia strada, che non faccio da solo. Il mio cammino non è prescindibile dalla mia convinzione, dalla mia fede in Gesù. Certo, ho buttato per aria un mondo. Che Dio mi benedica!.

Il cinema ti piace. Nel futuro di Dalla, dopo quello di cantante, avremo quello di attore e regista?

Ho fatto molte regie – non di cinema, ma di teatro, di opera, penso alla “Tosca amore disperato” con la grande orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta dal maestro Beppe D’Onghia. Nell’archetipo c’è la fede come coraggio, come contributo al cambiamento del mondo. Ho composto tante musiche da film. Il mio grande sogno, è vero, è quello di scrivere la sceneggiatura di un film e magari di farlo.

Il ritratto che esce da questa conversazione mi lascia stupefatto. Chi avrebbe immaginato un Lucio Dalla così!

(Dalla è emozionato, cambia voce). Guarda, sono un uomo fortunato. La vera dinamica dell’uomo è questo processo di maturazione o di semplificazione del proprio “io religioso”. Non riesco a capire il fenomeno dell’ateismo, che non vuol dire vivere senza Dio, ma, in modo infantile, non pensarci, o vederlo dall’altra parte del fiume. E invece Dio è talmente dentro di noi. È una scoperta che possiamo fare tutti e che possiamo vivere nella sua leggerezza.

Potresti usare la frase di Sant’Agostino: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”.

“Ah, non c’è dubbio! Ho anche l’ambizione di dire che qualche volta, Cristo, che lo sento vicino a me più di qualsiasi altra forma, possa anche riposarsi o mettere un orecchio alle cose che faccio (ride), per migliorarle, eh! .. mica per imparare!

Magari in prima fila per ascoltarti.

Spero proprio di sì!

Fonte: ‘Giullare di Dio’ di Lucio Dalla su San Francesco.

Altri dichiarazioni di Lucio Dalla

«Sono di sinistra, ma non mi è mai piaciuta la mentalità che delega il cambiamento al lato collettivo della politica. Le cose non si cambiano solo con le piazze, si inizia anche dagli individui, ad esempio leggendo libri. Però si deve essere liberi intellettualmente. Invece ancora oggi, quando ho detto che Julius Evola è un artista degno di interesse, ho suscitato scandalo in una certa stampa di sinistra, in modo prevenuto e superficiale. Ecco alla nostra sinistra è mancata la capacità di gestire e capire le inquietudini»

Lucio Dalla in un’intervista del 2008.
Fonte: «Dalla, di sinistra ma con riserva: “Non sanno capire le inquietudini”» su la Repubblica

«Non siamo fatti tutti di sacro e profano? Non capita di guardare il cielo e di avere i piedi nel fango? Ma Gesù – diceva – è un’altra cosa. Mi ha sempre emozionato il fatto che la persona guarita da Lui stava bene non perché finalmente poteva camminare o vedere ma perché, finalmente, aveva trovato qualcuno che si era identificato con lei, l’aveva capito fino in fondo».

«Dio è il più grande regista di tutti i tempi, è insuperabile perché ha ispirato i Salmi, cioè un nuovo modo di comunicare la religiosità che affascina anche chi non crede. I Salmi sono i primi video-clip della storia, sono sceneggiature, come sempre il Signore è avanti».

«La fede cristiana è il mio unico punto fermo, è l’unica certezza che ho»

Lucio Dalla all’Osservatore Romano nel 1997, poco prima di esibirsi davanti a Giovanni Paolo II.
Fonte: Quell’anarchico-religioso di Lucio Dalla su La Stampa.

«Padre Pio era una persona straordinaria e andavo spesso con mia madre a San Giovanni Rotondo. Lei faceva la sarta, aveva clienti nella zona, a Foggia, a Manfredonia, a cui portava le ultime novità della moda. Io sono molto legato a quel territorio e anche le mie radici cristiane sono profondamente sudiste. Il Gargano è una terra dura e affascinante dove ci sono gli angeli e i diavoli, dove il culto dei santi convive con elementi pagani. La mia impronta cristiana deriva da quella cultura mista».

Lucio Dalla in risposta alla domanda “Sei stato a messa anche da Padre Pio? Ho letto che tua madre era una sua devota”.
Fonte: Conversione di un povero diavolo: «La mia creatività è figlia di Dio» su il Giornale.

L’ultimo libro di Benedetto XVI Gesù di Nazareth?
«Mi ha colpito più di quanto immaginassi. È un libro potente anche se non mi trova d’accordo quando affronta le parabole cercando di dare una logica storica e teologica alle storie del Buon Samaritano e del Figliol Prodigo. Io sento il bisogno di interpretazioni più semplici. Invece mi è piaciuto quando parla del Discorso della Montagna, che assieme alla Crocifissione è il momento più straordinario del Vangelo»

Fonte: È morto Lucio Dalla, cattolico senza riserve su UCCR.

Testimonianza di padre Bertuzzi

Sulla personalità di Lucio Dalla, Antonella Palermo ha raccolto la testimonianza di padre Giovanni Bertuzzi, domenicano, direttore del Centro San Domenico a Bologna, che conosceva bene il cantante.

Padre Bertuzzi: Sì, in convento lo conoscevamo tutti perché abitava qui vicino e frequentava la nostra chiesa. Quando era a Bologna, veniva sempre qui da noi, a Messa, ed era vicino anche a diversi domenicani. Lo abbiamo quindi sempre avuto vicino. Partecipava anche ad una missione popolare della nostra comunità, perché sentiva l’appartenenza non solo come cristiano ma anche come cattolico e veniva qui a vivere i Sacramenti nella nostra chiesa.

Antonella Palermo: Come lo ricorda, lei?

Padre Bertuzzi: Lo ricordo come una persona molto disponibile, aperta, gioviale. Io, comunque, lo conoscevo fin da ragazzo perché sono bolognese e lo conoscevamo prima ancora che io entrassi in convento; allora, lui qui faceva parte di una leggendaria “dixie band”, quel gruppo jazz a cui appartenevano anche Renzo Arbore e Pupi Avati: loro hanno incominciato a suonare insieme – lui suonava il clarinetto – e ha sempre avuto una grande sensibilità musicale. Io l’ho apprezzato sempre forse più come musicista che come cantante, ma aveva anche una gran voce: questo sì!

Antonella Palermo: Ricorda qualche aneddoto, qualche episodio particolare di quei tempi?

Padre Bertuzzi: Già allora noi lo apprezzavamo, eravamo suoi fans come bolognesi: lui, Gianni Morandi e Francesco Guccini … C’è un aneddoto che posso raccontare: io celebravo la Messa, un giorno, era una Messa per gli studenti, con degli studenti che cantavano durante la Messa. E a questa Messa partecipava anche Lucio Dalla e gli studenti che cantavano avevano, secondo me, stonato abbastanza … Alla fine, in sacrestia, dissi: “Guardate che, se cantate così, Lucio Dalla non vi scrittura!”. E, invece, arrivò Lucio Dalla in sacrestia: era stato colpito dalla voce di uno di questo studenti e lo chiamò a cantare in un suo disco rimasto famoso, perché lui, alla fine di questo disco, ha fatto eseguire da questo mio studente il canto “Vieni, vieni Spirito d’amore”, quel canto famoso… Questo è un episodio abbastanza curioso, perché io non avevo riconosciuto questo talento musicale in questo studente, mentre lui era rimasto colpito dalla sua voce.

Antonella Palermo: Padre Bertuzzi, che fede aveva Dalla? Come era maturato questa ricerca di spiritualità?

Padre Bertuzzi: L’impressione che ho avuto è che avesse una fede molto spontanea: si sentiva appartenente alla Chiesa cattolica come praticante… Una fede spontanea, in una vita che è sempre stata molto movimentata, anche un po’ anarchica. Così come aveva una sensibilità musicale, aveva anche una sensibilità religiosa che gli faceva sentire la presenza di Dio nella natura e la presenza di Dio nella sua vita.

Antonella Palermo:
Come si esprimeva questa sua spiritualità?

Padre Bertuzzi: L’esprimeva con la pratica religiosa comune cattolica; l’esprimeva con molta generosità e disponibilità nei confronti degli altri. Non c’era alcuna difficoltà a comunicare con lui: appena lo si incontrava, ti salutava con grande affabilità e ci teneva a stabilire un rapporto di dialogo con tutti. Quello che mi ha sempre colpito in lui è che non aveva alcuna riservatezza o altezzosità per quello che era, un cantante famoso; quello che mi ha sempre colpito è stata la sua semplicità e la sua umiltà. Per esempio il padre Michele Casali, che è stato il fondatore del Centro San Domenico, che adesso io dirigo, mi diceva che la famosa canzone “Caro amico ti scrivo” l’aveva composta con lui in parlatorio: era andato a parlare con lui, perché si vedevano molto spesso… praticamente l’ha composta insieme a questo mio confratello!

Fonte: Lucio Dalla – Intervista di Padre Bertuzzi su La Sacra Famiglia.

Altri racconti su Lucio Dalla

«Dopo cena Lucio e io andavamo alla messa delle dieci in San Domenico: l’omelia di padre Giuseppe Barzaghi lo infiammava tutte le volte».

«Lucio mi ha regalato un sentimento nuovo, che non avevo messo in conto e che invece si è rivelato in tutta la sua semplice e autentica natura. La nostra è stata una favola moderna. Per questo non ha bisogno di etichette. Mi ha fatto molto soffrire e mi ha indignato la strumentalizzazione operata dai media dopo i suoi funerali. Avevano avuto settant’anni di tempo per rompere le scatole a Lucio; perché farlo dopo la sua morte? Non è stato rispettato né l’uomo né l’artista. Ho detestato tutte le polemiche, gli inutili pettegolezzi, le rivendicazioni. Lucio e io potevamo essere maestro e allievo, padre e figlio, fratelli, amici, amanti. Non c’è la parola giusta. “Ci completiamo”, diceva. Più di tutto Lucio ha amato sempre il gioco. Con se stesso ha giocato fino all’ultimo, distruggendosi e rinascendo mille volte dai suoi resti, buttandosi via continuamente e generosamente per essere di tutti e nello stesso tempo di nessuno. Era un gigante buono curiosamente basso di statura, un uomo profondamente felice e profondamente solo, nei suoi frequenti e ispirati abbandoni. A furia di inseguirla, la vita gli è venuta meno, proprio per troppo slancio, per troppo ardore, per troppa vita: così vita da morire. Sono gli amici e la bellissima storia che Lucio mi ha donato la vera eredità che mi ha lasciato in quel mattino».

Marco Alemanno
Fonte: Corriere della sera

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