L’intolleranza dei “tolleranti” – Pasolini

0
327

Comunemente si crede che il mondo fino ad un certo punto sia stato intollerante, mentre da qualche decennio a questa parte, grazie all’opera di grandi intellettuali, attivisti politici e all’istruzione, finalmente siamo diventati tolleranti o “open mind”, come si suol dire.

Pasolini ti smonta questa illusione e ti dimostra che la realtà è ben diversa, addirittura opposta a quella in cui credi. I 3 punti cardine della sua osservazione sono:

  1. Questa finta tolleranza, in realtà, è voluta dal Potere più repressivo che la storia ricordi
  2. Gli italiani non sono mai stati così intolleranti, violenti e pronti al linciaggio, avendo dimenticato la “reale tolleranza” che ha caratterizzato proprio la sua storia passata
  3. Tale fenomeno di «abiura» non riguarda solo il popolo, ma anche (e soprattutto) le élite intellettuali illuminate e progressiste

Lui ne fa particolare esperienza diretta quando esprime la sua contrarietà all’aborto (ma non solo qui), difatti la miglior sintesi di questo fenomeno la fa proprio all’interno del suo articolo “Sono contro l’aborto” del 19 gennaio 1975:

«L’enorme maggioranza (la massa: cinquanta milioni di italiani) è divenuta di una intolleranza così rozza, violenta e infame, come non è certo mai successo nella storia italiana. Si è avuto in questi anni, antropologicamente, un enorme fenomeno di abiura: il popolo italiano, insieme alla povertà, non vuole neanche più ricordare la sua «reale» tolleranza: esso, cioè, non vuole più ricordare i due fenomeni che hanno meglio caratterizzato l’intera sua storia. Quella storia che il nuovo potere vuole finita per sempre. É questa stessa massa (pronta al ricatto, al pestaggio, al linciaggio delle minoranze) che, per decisione del potere, sta ormai passando sopra la vecchia convenzione clerico-fascista ed è disposta ad accettare la legalizzazione dell’aborto.»

Perché il Potere vuole la tolleranza?

Pasolini lo spiega così:

«Io non credo che l’attuale forma di tolleranza sia reale. Essa è stata decisa «dall’alto»: è la tolleranza del potere consumistico, che ha bisogno di un’assoluta elasticità formale nelle «esistenze» perché i singoli divengano buoni consumatori. Una società spregiudicata, libera, in cui le coppie e le esigenze sessuali (eterosessuali) si moltiplichino è di conseguenza avida di beni di consumo.»

La tolleranza verso l’aborto, infatti, è conseguenza di un’altra tolleranza da cui scaturisce: quella del coito (fatto che logicamente lo precede) e perciò la libertà sessuale. Pasolini vede un chiaro nesso causale anche tra Potere dei consumi e libertà sessuale:

«Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità della vita del consumatore.»

Ma dove si trova esattamente il nesso?

«E poi impone una precocità nevrotizzante. Bambini e bambine appena puberi – dentro lo spazio obbligato della permissività che rende la normalità parossistica – hanno un’esperienza del sesso che toglie loro ogni tensione nello stesso campo sessuale, e, negli altri campi, ogni possibilità di sublimazione.»

«L’ansia conformisti­ca di essere sessualmente liberi, trasforma i giovani in miseri erotomani nevrotici, eternamente insoddisfatti (appunto perché la loro libertà sessuale è ricevuta, non conquistata) e perciò infelici.»

Il nesso è nell’insoddisfazione, nella nevrosi, nell’infelicità: una persona vittima di questa degradazione sarà il consumatore ideale perché avrà bisogno del “piacere immediato” del consumare.

Si consumano prodotti (consumismo). Si consumano persone (libertà sessuale). Si consumano bambini (aborto).

L’infelicità, inoltre, rende più intolleranti. Ecco perché, quando cade la maschera della finta tolleranza, si assiste a qualcosa di mai visto prima.

Come funziona l’intolleranza dei “tolleranti”

Come funziona il meccanismo secondo il quale una persona che si dichiara tollerante finisce per essere intollerante? Pasolini lo spiega molto bene nel trattatello pedagogico scritto per Gennariello:

«Come cani rabbiosi, tutti si sono gettati su di me non a causa di quello che dicevo (che naturalmente era del tutto ragionevole) ma a causa di quella «tinta». Cani rabbiosi, stupidi, ciechi. Tanto più rabbiosi, stupidi, ciechi, quanto più (era evidente) io chiedevo la loro solidarietà e la loro comprensione.
Perché non parlo di fascisti. Parlo di «illuminati», di «progressisti». Parlo di persone «tolleranti». Dunque, ecco provato quanto ti dicevo: fin che il «diverso» vive la sua «diversità» in silenzio, chiuso nel ghetto mentale che gli viene assegnato, tutto va bene: e tutti si sentono gratificati della tolleranza che gli concedono.
Ma se appena egli dice una parola sulla propria esperienza di «diverso», oppure, semplicemente, osa pronunciare delle parole «tinte» dal sentimento della sua esperienza di «diverso» si scatena il linciaggio, come nei più tenebrosi tempi clerico-fascisti. Lo scherno più volgare, il lazzo più goliardico, l’incomprensione più feroce lo gettano nella degradazione e nella vergogna.»

Nell’articolo intitolato “Fascista”, del 26 dicembre 1974, chiarisce il concetto in modo ancora più netto:

«Ho chiamato questi episodi di terrorismo e non di intolleranza perché, secondo me, la vera intolleranza è quella della società dei consumi, della permissività concessa dall’alto, voluta dall’alto, che è la vera, la peggiore, la più subdola, la più fredda e spietata forma di intolleranza. Perché è intolleranza mascherata da tolleranza. Perché non è vera. Perché è revocabile ogni qualvolta il potere ne senta il bisogno. Perché è il vero fascismo da cui viene poi l’antifascismo di maniera: inutile, ipocrita, sostanzialmente gradito al regime.»

L’intolleranza incontrata da Pasolini

Pasolini, a causa delle sue posizioni contrarie a quelle della maggioranza e del Potere, si ritrovò contro anche l’élite intellettuale di sinistra tramite vari interventi apparsi su L’Espresso, Il Manifesto, Il Messaggero, Paese sera, ecc…

E non ci sarebbe stato nessun problema, se non fosse che la metodologia degli oppositori non fu quella di argomentare in modo razionale, ma un’altra che in più punti ha definito come:

  • «illazioni a braccio sulla mia persona»
  • «istigazione al linciaggio»
  • «elencazione nelle liste dei reietti»
  • «proposta al pubblico disprezzo»
  • «caccia alle streghe»
  • «a quanto pare, mi si vuole decisamente incenerito»
  • «venire additati alla pubblica opinione come «rei» di idee contrarie alla comunità.»
  • «mi accusa per reato di opinione»
  • «addita me al disprezzo del popolo come “mammista”»
  • «rifiuto della cultura»
  • «ansia della normalità»
  • «qualunquismo fisiologico»

La sintesi più completa la troviamo nella lettera che Pasolini scrisse al direttore di Paese sera, dopo un articolo di Nello Ponente.

«Caro direttore,
Le invio a parte, con una dedica che è segno di sincera amicizia – anche se nella fattispecie non è priva di polivalenze e di lunghe vibrazioni allusive – Thalassa di Ferenczi. Non è un testo sacro. Però son certo che per esempio Marcuse, Barthes, Jakobson o Lacan lo amano.

É un libro delle «origini» della psicanalisi, non si può non amarlo. Lo legga. Preghi di leggerlo anche qualche suo collaboratore. Non c’è da imbarazzarsi: il non averlo letto non è poi così grave lacuna. Mi riferisco a un articolo uscito sul «Paese sera», del 21 gennaio 1975. «Le ceneri di Solgenitzin», che sarebbero poi le mie: a quanto pare, mi si vuole decisamente incenerito, se si tien conto anche dell’articolo di Eco sul «Manifesto» dello stesso giorno, «Le ceneri di Malthus», anch’esso riferentesi per interposta persona, alle mie ceneri.

Son qui per cercar di risorgere ancora una volta, appunto dalle ceneri. Che, com’è noto, sono il resto di un rogo in cui generalmente si bruciano le idee. A questo proposito, vorrei anticipare che una delle lotte più piene di tensione degli uomini di sinistra è contro quella serie di commi del codice Rocco, che vertono il «reato di opinione».

Lei crede a questo proposito che ciò che ci indigna in tali commi del nostro codice sia la «punizione» che vi è contemplata? Quei famosi mesi con la condizionale che rischiamo ogni giorno? Non credo.

Ciò che conta è la condanna. La condanna pubblica. Il venire additati alla pubblica opinione come «rei» di idee contrarie alla comunità. Il suo collaboratore Nello Ponente altro non fa che pronunciare nei miei riguardi tale condanna: egli mi accusa di fronte a una «comunità» – la «comunità» degli intellettuali di sinistra e dei lavoratori – e mi accusa per un “reato di opinione”.» [….]

«Con questa mia «opinione» io ho forse messo in pericolo il pci, la cultura di sinistra, la lotta operaia? Sono stato «fuorviante»? Sono stato un traditore del popolo? Ad ogni modo, il verdetto di Nello Ponente è più o meno questo. É vero che poi il testo della sua condanna è del tutto privo della lucidità burocratica delle condanne dei tribunali dello Stato. É alquanto più vivace, e anche decisamente più confusa.

Il nostro Nello Ponente ignora completamente la psicanalisi e virilmente vuole ignorarla. Non ha certo letto né Freud né Ferenczi, né altri, quali rappresentanti particolarmente spregevoli del «culturame» cui io mi onoro di appartenere. Nello Ponente (come, a quanto pare, Giorgio Manganelli) non ha mai sognato di essere immerso nell’Oceano: ed è indubbiamente quanto basta per distruggere decenni di ricerche psicanalitiche su tale problema.

Di conseguenza egli confonde il ricordo delle acque prenatali col «mammismo», cioè con la «fissazione» di un periodo della vita in cui il figlio, già naturalmente nato, si attacca alla madre.

Nello Ponente, sempre virilmente, disprezza (sempre come Giorgio Manganelli) le «mamme». Mentre io non vedo ragioni se non conformistiche per vergognarmi di avere nei riguardi di mia madre, o meglio, di mia «mamma», un forte sentimento di amore. Esso dura da tutta la vita, perché è stato poi confermato dalla stima che io ho sempre per la mitezza e l’intelligenza di quella donna che è mia madre. Sono stato coerente con questo amore. Coerenza che in altri tempi ha potuto portare ai lager, e che comunque continua a bollare di infamia.

Nello Ponente, con la stessa delicatezza con cui indica al popolo per il rogo Freud, Ferenczi e tutta la psicanalisi, addita me al disprezzo del popolo come «mammista». Naturalmente il disprezzo per il culturame avrà impedito a Nello Ponente di leggere tutta la lunga serie di poesie che io ho dedicato a mia madre dal 1942 a oggi.

Lo sfido a dimostrare che si tratta di poesie di un «mammista», per usare la sua volgare, conformistica, degradante definizione di uomo interscambiabile, livellato con qualsiasi benpensante, con qualsiasi bisognoso di appartenere a un branco.

E anzi a questo proposito, vorrei qui dichiarare pubblicamente che di un uomo così ignorante e così fiero della propria ignoranza io non sono, non sono mai stato e non sarò mai un «compagno di strada». La sua interscambiabilità, infatti, fondata sul conformismo e sul benpensare, non può che essere segno di una «continuità». La «continuità» della piccola borghesia italiana e della sua coscienza infelice (rifiuto della cultura, ansia della normalità, qualunquismo fisiologico, caccia alle streghe).» […]

«Aspetto che mi si convinca razionalmente e non attraverso illazioni a braccio sulla mia persona o sulla «correttezza» della mia ideologia.»

La peggiore repressione della storia umana

È controintuitivo, ma è così: quella che ci sembra tolleranza è la peggior repressione mai conosciuta. Lo scriverà Pasolini nell’articolo “Sfida ai dirigenti della televisione”, pubblicato il 9 dicembre 1973 sul Corriere della sera:

«Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana.»

Si tratta infatti di una «tolleranza modernistica di tipo americano», come scriverà nel suo “Studio della rivoluzione antropologica in Italia” pubblicato il 10 giugno 1974 sempre sul CdS, in cui concluderà dicendo che:

«Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza.»

Per comprendere ancora meglio questa contraddizione tra apparenza e realtà, mettendo a confronto la società prima e dopo il Potere irreligioso dei consumi, si potrebbe ricorrere a questa citazione:

«La Chiesa è intransigente sui principi perché crede, ma è tollerante nella pratica perché ama; i nemici della Chiesa sono tolleranti nei principi perché non credono, ma intransigenti nella pratica perché non amano.»

Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1964), Dieu, son existence et sa nature, Paris 1923, p. 725.

Articolo precedenteAlessandro D’Avenia racconta l’amore
Articolo successivoCanzone dell’appartenenza – Gaber

Lascia una risposta

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome