Degradazione e idee consolatrici che non si riadattano – Pasolini

Risposta di Pasolini a Leo Valiani pubblicata sul Corriere della sera il 9 settembre 1975

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Credo che a pochi uomini in tutta la storia umana sia successo di vivere in pochi anni (sei o sette) mutamenti più radicali di quelli che hanno vissuto gli italiani adulti dalla fine degli anni Sessanta a oggi.

A me per esempio è successo di vedere la più simpatica gioventù di Italia trasformarsi nella più odiosa. In ciò non c’è niente di sfumato, di incerto, di graduale: no: la trasformazione è stata un rovesciamento completo e assoluto. Mi riferisco alla gioventù romana proletaria e sottoproletaria. Ma credo che il discorso possa essere esteso a tutta la gioventù italiana. Lascio, a chi la vuole, ogni possibilità di sollevare eccezioni.

Io stesso – a parte le ovvie eccezioni di gruppi o di singoli – oppure le eccezioni ideologiche sostenute dalla sicura realtà dei fatti – per esempio l’eccezione di tutti i giovani iscritti, ma proprio iscritti, al Pci – mi sentirei senz’altro di dire per esempio che nel suo insieme la gioventù proletaria e sottoproletaria di Napoli fa eccezione alla regola (e aggiungerei anche la gioventù di altre sacche provinciali risparmiate dallo sviluppo – mettiamo l’Alto Lazio, dove sopravvivono mitezza, rispetto, dignità).

Ma la regola riguardante la massa, cioè i milioni di giovani italiani, è la regola della degradazione. E a Roma, appunto, lo è in modo intollerabile. Guardate le facce dei due fratelli Carlino (che hanno assassinato un automobilista, per ragioni di traffico, massacrandolo e spaccandogli la testa sopra l’asfalto). Non vedrete le orribili, pallide, sfigurate, sbavanti facce di due assassini: ma vedrete le facce dell’intera gioventù popolare romana. A Torpignattara – dove i due sono nati e vissuti – ormai la maggioranza dei giovani è come loro.

Va aggiunto – lo so, con la più incredibile spietatezza – che questa maggioranza di giovani ha certamente votato per il Pci. Dunque, è possibile per un uomo adulto – che ha patito (selvaggiamente) un simile rovesciamento – continuare a vivere e intervenire?

Per farlo bisogna avere la forza di «riadattarsi»; cosa che è tuttavia degradante, se ogni «riadattamento» è un patteggiamento col male; e, inoltre, bisogna avere il coraggio di abbandonare – del proprio bagaglio di idee – proprio le idee chiave, le idee più certe, le idee più consolatrici.

Può darsi che, in quanto intellettuale, il mio caso sia un po’ particolare – sbattuto come sono, come un picaro – dalla mia stessa volontà – fuori dal Palazzo, per le strade (di Torpignattara). Ma non credo tuttavia che possa essere giustificabile la figura di un intellettuale che, oggi, continui a giudicare il mondo com’è, attraverso le misure di giudizio di ieri: e che quindi non sia obbligato a «riadattarsi» e a fare un riesame totale del suo sapere.

Io ho addensato le mie polemiche, e già da molto, sull’antifascismo. Nessuno ha mai risposto a queste mie polemiche se non razzisticamente, facendo cioè illazioni sulla mia persona. Si è ironizzato, si è riso, si è accusato. Ciò che io dico è indegno di altro; io non sono una persona seria.

Ma Mister Huly Long e Mister Geoffrey Barraclough? Il primo ha detto, e il secondo ha citato e approvato, la seguente frase: «Il fascismo può tornare alla ribalta a condizione che si chiami antifascismo» (cfr. «L’Europeo», del 29 agosto).

Ora ci sono tutte le premesse per credere che Mister Huly Long e Mister Geoffrey Barraclough, due illustri economisti americani, siano delle persone serie. Valiani può anche prenderli in considerazione.

L’ottica del mondo è completamente cambiata; la realtà, ha, come dire, «ruotato». La povertà non è più la povertà di prima del Consumismo. Anche se dovesse tornare una certa povertà – tipica dei regimi dittatoriali – tale povertà non sarebbe altro che benessere rientrato, frustrato. Questo almeno in Europa, in Italia.

La povertà cilena è forse ancora quella classica. Ma un eventuale Pinochet italiano non si sognerebbe nemmeno, attraverso un regime neo-repressivo, di ristabilizzare la povertà di un tempo: egli altro non si prefiggerebbe che proteggere lo «sviluppo» così come i padroni lo vogliono (ed è ancora possibile).

Edonismo e falsa tolleranza sarebbero sicuramente in gran parte preservati. Lo spirito laico che è legato al consumo anche. I voti dei contadini e dei piccoli borghesi che il 15 giugno hanno ancora optato – in fondo massicciamente – per la Dc, sono voti «numerici», privi di qualità (che dal punto di vista dei cattolici non può essere che «buona qualità» cattolica): essi sono infatti inquinati ormai irrimediabilmente dal laicismo consumistico.

E la cosa è funestamente simmetrica con quanto dicevo sopra a proposito dei voti comunisti della gioventù sottoproletaria romana: essi sono numerici, ma di pessima qualità. In realtà i due fratelli Carlino sono i due tipici giovani «nuovi» che vivono la perdita dei valori, e in attesa di nuovi valori, si sono impietriti in una ferocia da SS.

Quando Leo Valiani «snobba» e condanna con parole dignitose ciò ch’io dico dell’antifascismo come sinonimo di anti-borbonico o anti-feudale (poiché appunto il rozzo e «povero» fascismo mussoliniano non esiste più, né esiste più quell’Italia che gli ha dato il suo consenso), fa qualcosa di inerte: cioè una professione di fede in un valore che non ha più corso.

Egli è, precisamente, l’italiano adulto che non sa riadattarsi; che non sa cambiare – del suo bagaglio di idee – le idee chiave, le idee più certe, le idee più consolatrici. Tutto ciò del resto è umano, è comprensibile; è un modo per continuare a vivere.

Ma quando Leo Valiani parla dell’alternativa «laica» – tra Dc e Pci – prendendo fra l’altro uno strano abbaglio – ipotizzando cioè la mia simmetrica avversione alla Dc e al Pci – mentre è ben chiaro che io sarei felice di una presa del potere, sia pure parziale, del Pci – commette un vero e proprio errore storico, in quanto storico.

Il laicismo di cui parla Valiani è una forma culturale della migliore borghesia (una disperante minoranza cui anch’io del resto appartengo) che il popolo non solo non ha mai condiviso, ma di cui non ha neanche mai sospettato l’esistenza.

Quando il fascismo vecchio è andato al potere nell’Italia povera, il popolo viveva unicamente la propria cultura arcaica, anche se, in quanto contadina, transnazionale. Rispetto alla sottocultura dei fascisti e rispetto alla cultura dei laici antifascisti, esso era completamente ignorante: per molto più della metà, addirittura e letteralmente analfabeta.

Ora, il Consumismo ha tolto l’Italia alla sua povertà, per gratificarla di un benessere (laido) e di una certa cultura non-popolare (umiliante: ottenuta attraverso il mimetismo della piccola borghesia, una stupida scuola d’obbligo, e una delinquenziale televisione). Ne è nato il «laicismo consumistico» che, assorbendolo in sé, ha vanificato il vecchio laicismo «nobile» di cui parla Valiani.

Infine devo dire che l’intervento di Valiani mi ha completamente deluso, perché ciò su cui io chiedevo che egli intervenisse, era l’eventuale processo penale contro una dozzina o una ventina dei potenti democristiani che hanno ridotto l’Italia del 1973 in condizioni forse peggiori di quella del 1945. Valiani su questo ha evitato il discorso. E ciò naturalmente mi dispiace.

Pasolini, risposta a Leo Valiani pubblicata sul Corriere della sera il 9 settembre 1975 e in seguito nel volume Lettere Luterane.

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