“Ci obbligano a pensare che la cultura e lo spettacolo devono essere evasione” – A.Bergonzoni

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“Non mi interessa la speranza che un teatro non chiuda. La speranza è l’ultima a morire, voglio sapere chi è il primo a rinascere.”

“La chiusura di un teatro ha a che fare, a mio modesto parere che peraltro condivido, non solo con Bologna, la politica e nemmeno con i fondi, le manovre, le gestioni degli enti. Ha a che fare con un altro tipo di evasione.

Si parla sempre di evasione. Ci obbligano a pensare che la cultura e lo spettacolo devono essere evasione, non pensiero, coscienza o creazione. Ci obbligano a credere che sia intrattenimento, passatempo e non cultura. Perché non vogliono solo chiudere i teatri, ma le teste, le anime, le intelligenze, vogliono chiuderci le idee a suon di mezzi di distrazione di massa, a suon di televisione delinquente e contagiosa, di radio alibi, di riviste viste e riviste, a suon di anestetizzatori sociali e di eroine ed eroi.

L’eroina è la droga delle dee sportive, delle dee presentatrici, delle dee corpose. L’eroinomane non è solo un drogato, è il calciatore, allenatore, sono i talenti del canto senza incanto, delle trasmissioni al letame per escrementi, per sentirci attratti dal successo e non dal far succedere, dall’avvenenza e non dal saper far avvenire qualcosa come succede in un teatro.”

“Sono per la chirurgia etica, rifacciamoci il senno”.

“Preferiamo apparire anziché esserci. Preferiamo la comunicazione alla conoscenza. «Vado a teatro per non pensare a niente». «Passo una serata che stacco». Ecco come si sta da staccati, senza energie. Come serviamo a chi vuole come primario il potere e non la potenza. Potenza è energia, interiorità. Potere è comando, controllo, narcotizzazione, adattamento, tran tran. Prima delle infrastrutture, dei servizi, dei bisogni, si deve cercare la nostra sostanza, la nostra materia prima, il nocciolo, la sesta essenza, l’oltre, l’alto e l’altro.”

“La satira la lascio a due, tre grandi che la sanno fare. Per il resto iniziamo a spegnere l’inguardabile, l’orrendo, il solito, il poco, e cominciamo ad accendere i riflettori per riflettere. Non è innocuo il vuoto, il niente. Dici: «Ma te fai teatro, cosa ti interessa?». È pericoloso! È una forma di idiozia. Abitua all’assuefazione, all’accontentarsi, a riderci sopra. E sotto, cosa succede? A forza di pupe, di Darwin, di cazzeggio, di parodie. Dal teatro al tetro, fatemi ripetere. Ci chiudono, ci tolgono il cervello, non i fondi. Ci tolgono l’arte, la poesia, parola che per molti è parola colluttoria: ti sciacqui un po’ e la sputi fuori, appena hai finito il festival, appena hai finito la serata.”

“Urge urlo interiore. Rivelazione e poi rivoluzione.”

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