Vita Nova che non si spegne, ma divampa in un incendio

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La Vita Nova di Dante fa tremare, perché è capace di risvegliare in noi l’esperienza dell’innamoramento che rende la vita nuova, aiutandoci soprattutto a farci guidare da essa nell’abbracciare la ragione e portare al compimento il cuore umano.

Come dice Laura Ferrari nell’introduzione a questo incontro: «Beatrice ha suscitato in Dante una grande speranza, la promessa di una grande gioia, tanto da non sentire di avere più nessun nemico al mondo».

Di seguito riporto diversi passaggi chiave dell’esposizione di Valerio Capasa.

In un periodo in cui tutte le settimane, i mesi, gli anni ci sembrano uguali, Dante ci parla di novità. Com’è possibile che oggi accada una novità?

L’innamoramento di Dante

La Vita Nova è la premessa indispensabile alla Divina Commedia. C’è un giorno nella mia vita in cui è cambiato tutto, c’è un prima e c’è un dopo. Che cosa ha reso nuova la vita a Dante? L’incontro a 9 anni con Beatrice. 

Dante ricorda perfettamente, a distanza di una ventina d’anni, quella scena, quell’incontro. Beatrice era vestita di rosso.

A 18 anni Beatrice lo saluta. In questo saluto sta la beatitudine di Dante. È colei che dà la beatitudine, colei che dà la felicità.

L’Amore signoreggia l’anima di Dante. L’amore era sempre stato considerato dai poeti come una forza cieca, un fuoco irrazionale e allo stesso modo lo consideravano anche i poeti stilnovisti.

Dante invece dice: l’amore non è vero che fa andare fuori di testa, che non ha niente a che fare con la ragione. L’amore signoreggia l’anima, ma è sempre accompagnato dal giudizio della ragione, è compagno della ragione, non esiste senza.

Beatrice andava in Chiesa e a Dante scoppiò un’improvvisa religiosità, non era mai stato tanto religioso come in quel periodo. Andava a tutte le messe in cui sospettava potesse andare anche Beatrice.

Beatrice, che era una brava ragazza, era seduta davanti, invece Dante, che era molto più interessato a Beatrice che alla messa, si sedeva dietro da una posizione da cui poteva, però, vedere Beatrice. Lui la guardava, sperava che Beatrice si girasse, ma Beatrice era attentissima alla messa e non si girava. Dante guarda Beatrice e Beatrice guarda l’altare.

Nella traiettoia ottica tra lui che è seduto dietro e lei che è seduta avanti, c’è un’altra donna, che si gira e pensa che Dante stia guardando lei. Dante capisce che grazie a lei può depistare le indagini, tenendo riservato il nome di Beatrice, per non mettere sulla bocca di tutti il suo vero amore.

Beatrice non sopporta le voci che girano su Dante e un’altra e gli toglie il saluto. Se Beatrice non lo saluta più, vuol dire che non c’è più felicità, non c’è più senso per Dante. Nel suo saluto abitava la salvezza. Perché quel saluto aveva tanto a che fare con la sua salvezza? 

Dante dice di un amore che dà speranza della salvezza, che non fa rimanere più nessun nemico, che dona una fiamma di carità la quale mi faceva perdonare chiunque mi avesse offeso. È un effetto di Amore insieme alla ragione.

Se Dante dice “non mi rimaneva nessun nemico”, vuol dire che l’amore nei confronti di Beatrice lo dilata, lo apre a tutte le altre persone, addirittura non gli rimane più nessun nemico, l’amore fa quell’effetto.

Abbracceresti tutti quanti, non ti vorresti chiudere con Beatrice, non vorresti rimanere solo con lei, ma l’amore fa nascere una fiamma di carità.
L’eros e la caritas sono due forme di amore e l’amore diventa carità, diventa speranza di salvezza, diventa desiderio di Dio.

Incontrare Beatrice per Dante vuol dire educazione al cristianesimo.

L’Amore ha a che fare con il «tu»

Non so se abbiamo nel 2021 ancora gli occhi per accorgercene. Il problema è che in tutto quello che io vi ho raccontato, in realtà, di amore c’è poco e niente. Dante manifesta molto quello che lui sente dentro per Beatrice, ma non parla mai di lei. Chi è, fin qui, Beatrice?

Di lei, in effetti, c’è poco. Questo apre ad una domanda, che Dante ci aiuta a fare. L’amore è ciò che io provo per te, o ciò che tu sei? L’amore è il sentimento che proviamo, oppure è la persona amata?

L’amore non è questo trasporto sentimentale verso una fidanzata, verso un innamorato, verso un figlio. Non è quello che tu senti, ma ha a che fare con la persona, con il «tu».

Non è ciò che io provo per te, quello è il narcisismo, non è l’amore. Quello vuol dire innamorarsi non tanto dell’altro, ma di ciò che io sento per te. Mi innamoro di come tu mi fai stare, tanto è vero che quando il sentimento sparisce di solito poi sparisce anche l’altro: non sento più niente, allora ti lascio. Come se tu esistessi soltanto quando io sento qualcosa.

Non so se ricordate Paolo e Francesca, che tutti impropriamente chiamano il canto dell’amore, quando l’amore non c’entra niente con quel canto. È il canto della lussuria per Dante.

Dante ha scoperto che prima di ciò che lui sente, c’è lei, c’è la lode per lei. Io sono contento che tu sia al mondo. Io ti lodo perché tu esisti. Non ho bisogno di essere ricambiato. Non ho bisogno che tu mi saluti. Non ho bisogno che tu ti sposi o fidanzi con me. Tu esisti e l’amore è questa gratuità assoluta. 

È la vita nuova, insospettabile in quel primo incontro a 9 anni, ma Dante qui comincia a capirlo. La tua esistenza al mondo mi cambia la vita. L’amore non ha bisogno di niente in cambio. L’amore è caritas, è carità assoluta.

Dante è costretto a ripensare a tutto quello che era cominciato a 9 anni, a quell’incipit in cui però era nascosto tutto, come un seme che poi diventa fiore. Non se n’era accorto, trascinato dai suoi sbalzi emotivi. Perché finora non ho parlato di lei, ma di ciò che sentivo per lei. Capisce che qui la sua poesia cambia. Non può più appartenere del tutto agli stilnovisti.

Non è vero che l’amore opera soltanto in un cuore gentile, soltanto in un cuore già predisposto, ma quando esso accade, l’amore può far diventare gentile anche un cuore che non lo era. Beatrice è capace di trasformare anche un cuore che non era gentile.

Tanto gentile e tanto onesta pare: gentile non vuol dire che è educata, onesta non vuol dire che non ruba, e pare non vuol dire che sembra. È l’immensità del suo cuore, l’eccezionalità della sua anima.

L’Amore eleva spiritualmente

Non si può presumere di far scuola lavorando solo sulla testa, ficcando concetti anche bellissimi nella testa della gente, perché nella vita c’è l’anima e il corpo. Dante questo nella Divina commedia ce lo fa capire ad ogni verso. Le anime scontano pene fisiche. Non sentono discorsi, non è che i superbi sentono discorsi sull’umiltà: portano delle pietre. Quello che non è fisico, quello che non è esteriore, quello che non è anche implicito, quello che non inizia attraverso i sensi non può diventare spirituale.

Quello che succede, però, è che i sensi non bastano più: Beatrice muore. E tutto il cammino fisico, tutto il cammino dei sensi che hanno portato Dante a scoprire questo miracolo, questa cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare, questa cosa non si può capire se non se ne fa esperienza. Beatrice è appunto scesa dal cielo alla terra.

Tutto il medioevo si è fondato sul cristianesimo. Come disse Jacques Le Goff, uno dei più grandi storici del medioevo, il medioevo è il cielo sceso in terra. I medievali non dimenticavano la terra per guardare il cielo. Per i medioevali il cielo era sceso in terra quando Dio si era fatto uomo.

Cosa succede se Beatrice muore e se i sensi non possono più vederla? Beatrice partecipa della natura di Dio. E nemmeno Dio è solitario, Dio è trino. Come uomo non può essere uomo da solo, ma è soltanto uomo con qualcuno, così è anche Dio che è trino.

Beatrice, allontanandosi dai nostri sensi, è diventata una spirital bellezza grande.

L’Amore è dono eterno reale

Immaginate quest’uomo di 28 anni che scrive: io spero di dire di Beatrice quello che nessuno ha mai detto di nessuna donna. Spero di andarla a trovare in paradiso dove lei sta sicuramente guardando la faccia di Dio.

È come se incontrandola Dante dicesse: «senti Beatrice, io in questi anni non ho mai smesso di pensarti».

Quando Dante scrive quei canti del Purgatorio, ha quasi 50 anni e Beatrice è morta da almeno 25 anni. Beatrice, in questi 25 anni in cui non ti ho più vista, 40 anni dopo quel nostro primo incontro, a quella festa il 1 maggio, quando avevi quel vestitino rosso, ecco Beatrice, anche se tu poi non mi hai più salutato, anche se tu ti sei sposata con un altro, io non ho mai smesso di pensarti e ogni tanto ho scritto qualcosa, così, qualche riga, qualche verso, 14.000 e più endecasillabi: la Divina commedia. È il suo regalo. Il suo regalo a Beatrice è la più bella opera d’arte della storia.

Noi che regali facciamo alle persone che amiamo? Leggere Dante vuol dire che sorgono inesorabili delle domande. Come si fa ad amare per una vita intera? Come si fa a non stancarsi? Come si fa ad amare senza voler niente in cambio, senza possedere?
Come si fa, se vedo che intorno a me crolla tutto?

Dante non può truccare, non può bleffare, perché non verrebbe fuori la Divina Commedia. Dall’amore per un’allegoria non viene fuori una Divina Commedia. La Divina Commedia viene fuori da una persona in carne ed ossa.

La Divina Commedia non può essere soltanto un ricordo. Uno non scrive per 20 anni un poema. A 50 anni si scoccia anche della Divina Commedia, si scoccia anche di Beatrice, se non c’è qualcosa di incredibilmente vero, e non solo di geniale, ma di incredibilmente salvato. Come si fa?

Attraversare il dolore

Nel Convivio lui racconta che alla morte di Beatrice ha cercato un modo per affrontare questo dolore inconsolabile. Scrive che non c’era modo di consolarsi. Non bastavano le parole sue e le parole degli amici. Dante non diceva quelle fesserie che diciamo noi come “elaborare il lutto”. Come si fa ad elaborare il lutto? Se ti muore una persona cara, cosa vuoi elaborare? 

Allora Dante, invece, fa una cosa secondo me più intelligente e dice: come avranno fatto altri ad affrontare il dolore inconsolabile? E si mette a leggere 2 libri che affrontano dolori inconsolabili: uno si chiama Deconsolazione filosofica ed è scritto da Boezio e l’altro si chiama De amicitia ed è scritto da Cicerone.

E dice Dante: leggendo quei due libri mi è successa una cosa inaspettata perché io cercavo argento e ho trovato oro. Cioè cercavo di consolarmi, ma non solo ho trovato consolazione, ma ho trovato vocaboli d’autore, cioè parole che mi fanno crescere. Cosa ha trovato Dante? Ha trovato che la donna di Cicerone o di Boezio non era una donna mortale, ma era qualcosa che non muore mai. Dante la chiama filosofia.

Non significa che la butta in cultura. Vuol dire ciò che Beatrice gli ha permesso di pensare. Dante immagina la filosofia come una donna gentile e misericordiosa e non come una materia scolastica. La filosofia è il modo in cui Beatrice gli ha permesso di vedere il mondo. Il primo amore, quello per Beatrice, lascia progressivamente il campo ad un secondo amore che è nascosto lì dentro.

Nel cristianesimo non si perde nulla

Tornando alla triangolazione visiva in Chiesa, Dante non si chiede più “Beatrice, perché non ti giri?” ma “Perché non si gira? Cosa sta guardando lei?”.
Io non voglio che Beatrice si giri verso di me, ma voglio guardare dove guarda Beatrice, voglio girare io il mio sguardo.

Immaginate quest’uomo che scrive il canto 30° del purgatorio quando ha 50 anni e trema ancora, gli batte ancora il cuore per quella bambina vista 40 anni prima. Lei in paradiso terrestre lo aspetta vestita di rosso, proprio come in quella lontana festa del primo maggio.

Dante nel paradiso terrestre non si perde niente, neanche un vestito rosso. Non si perde l’esperienza materiale, anzi viene salvata. La prima parola che Beatrice gli rivolge è “guardami”, ciò che lui ha sempre voluto.

Non esiste alternativa tra la terra e il cielo. Beatrice non è l’alternativa a Dio. Non c’è alternativa tra l’uomo e Dio, tra l’effimero all’eterno. Non scompare Beatrice per far posto a Dio. C’è l’eterno e c’è l’effimero. E questo è il cristianesimo.

Infatti Beatrice inizia a dirgli: È vero o no che la cosa più bella che tu hai visto nella vita sono le mie belle membra? Le belle membra sono le belle gambe, il bel corpo di Beatrice. 

Come pensavi di arrivare al sommo piacere, se non attraverso il piacere che nasceva dalle mie belle membra?
Appunto, non si perde niente. E gli dice: guardami Dante, alza lo sguardo. E cosa vede Dante quando alza lo sguardo? Non appena i suoi occhi, ma i suoi occhi su Gesù. Non si è perso niente.

L’uomo non può guardare Dio, ma può conoscere Dio quando Dio abita negli occhi di una persona.

Per arrivare a guardare Dio in faccia, Dante ha attraversato un cammino anche abbastanza complicato. Non solo l’amore con Beatrice è stato un fallimento, ma Dante è stato un esiliato, ha scritto la Divina Commedia in esilio, 20 anni fuori di casa, ma ogni circostanza l’ha spinto a cambiare.
Dante non ha mai aspettato che le circostanze cambiassero. Dante sapeva che la vita non è come diciamo noi. E non ha aspettato che la vita si sistemasse perché la vita non si sistema mai. Dante sapeva che doveva cambiare lui. E così nella selva oscura ha scoperto un bene.

C’era una vita nuova che non si è spenta, ma è divampata in un incendio.

Ovviamente ciò che abbiamo raccontato stasera per il mondo nemmeno esiste. Per il mondo esiste un grande problema sanitario, un grande problema economico, un grande problema sociale, e la selva oscura che roba è? Non entra nelle curve, nelle statistiche, nei telegiornali.

Eppure che la vita possa essere nuova non è quello che desideriamo sempre? Che la vita non sia bloccata, ma sia una novità, oggi, stasera, domani mattina, appunto.

Forse abbiamo questo da imparare da Dante. Vi ringrazio.

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