Scuola delle suore (paritaria) o statale: quale scegliere?

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Devi iscrivere tuo figlio all’asilo o a scuola e sei indeciso tra una paritaria gestita da suore e una statale? Ti condivido una valutazione personale, che mi ha portato a scegliere la prima, indicando i criteri che dovresti utilizzare e gli aspetti da considerare.

I coetanei

I coetanei sono la principale fonte educativa. Più dei genitori e dei maestri. Più della televisione e degli schermi.

Nel trattatello pedagogico scritto per “Gennariello”, nelle Lettere Luterane, Pasolini dice:

«I coetanei, in questo momento della tua vita (quindici anni), sono i tuoi più importanti educatori. Essi esautorano ai tuoi occhi sia la famiglia che la scuola. Riducono a ombre boccheggianti padri e maestri. E non hanno affatto bisogno di un grande sforzo per ottenere questo risultato. Anzi, non ne sono nemmeno coscienti. È sufficiente per loro – per distruggere il valore di ogni altra fonte educativa – semplicemente esserci: esserci cosi come sono.»

Quindi la cosa più importante che tu possa fare per l’educazione dei tuoi figli è fare attenzione al tipo di coetanei che troveranno nella specifica scuola che stai valutando.

Sulla base della mia esperienza, in un ambiente ad impostazione cattolica è molto più probabile trovare sensibilità e attenzione verso valori come la disciplina, l’obbedienza, il pudore, coltivando e valorizzando la capacità di stupore tipica dei bambini e la ricerca della bellezza.

In una scuola pubblica questo è più difficile, anche perché è molto cambiata (in peggio) negli ultimi 20 anni. Durante l’Open Day a cui ho partecipato nella valutazione di una scuola statale, nel quale ovviamente si sforzano di mostrare “il meglio”, non ho avuto la migliore delle impressioni. Ho ascoltato alcune domande semi-provocatorie e semi-polemiche da parte dei genitori e le risposte della dirigente scolastica che lasciavano trasparire non poca acidità e una certa intolleranza verso questioni ritenute ovvie o stupide.

Il picco si è raggiunto quando è scoppiata la polemica, da parte di alcuni genitori, sull’esistenza dell’insegnamento della religione cattolica, nonostante è facoltà di tutti poter optare per attività alternative.

Così un genitore ha incalzato dicendo che dovrebbe al massimo esistere un’ora di religione generica, e non specificamente cattolica. Un altro ha esclamato: “è perché in Italia purtroppo abbiamo il Papa!”, mentre la dirigente cercava di contenere la situazione dicendo che quell’ora non va confusa con il catechismo e che comunque non è una scelta della scuola perché c’è il Concordato Stato-Chiesa.

Ecco, se tali genitori tali figli, non mi è sembrato opportuno inserire mia figlia in questo ambiente, anche perché quando sono andato a visitare la scuola gestita da suore, durante le attività, ho visto una certa armonia e dolcezza, sia da parte dei bambini che delle insegnanti. Un altro mondo.

Approccio pedagogico

Lo slogan della scuola di suore recita “Educhiamo con amore”, mentre quello della scuola statale parla di accoglienza nel rispetto della diversità e di valorizzare e potenziare le capacità di ciascuno.

Nel primo caso abbiamo la definizione più corretta di cosa voglia dire educare. Come diceva anche Pasolini, “può educare solo chi sa cosa significa amare”. Il focus è sul cambiamento interiore: quello del cuore.

Nel secondo caso, a parte l’ovvietà dell’accogliere nel rispetto della diversità (non conosciamo scuole in cui non vengono accolti o vengono discriminati i neri o altre categorie), il focus è sulla performance, sulle capacità. Come vedremo in seguito, qui si punta su fattori esteriori e l’educazione è ridotta a retorica.

La pedagogia del nulla

La dirigente della scuola pubblica ci ha tenuto molto a indicare a tutti i genitori “preziose” regole pedagogiche da applicare subito:

  • Divieto di usare vezzeggiativi e diminuitivi: con i bambini bisogna parlare lo stesso linguaggio degli adulti! Eppure se la chiamiamo “manina” è perché effettivamente è piccola; se lo chiamiamo “culetto” è perché effettivamente è grazioso. In italiano è assolutamente corretto. E anche laddove si ecceda con l’uso dei vezzeggiativi per gli oggetti normali, non è forse il mondo più grazioso agli occhi dei più piccoli? Sono preoccupati che così il bambino impari un po’ più tardi il linguaggio degli adulti, come se fosse una gara a chi arriva prima. Queste sono le priorità dei cinici pedagoghi del nulla.
  • Vietato vietare (stanze della casa): non bisogna mai impedire al bambino di entrare in una stanza della casa perché, magari, ci sono soprammobili che si possono rompere. Piuttosto li togliamo tutti di mezzo, ma il bambino deve poter esplorare tutto l’ambiente in cui vive senza limiti, altrimenti chissà quali danni. Ma a questo punto non bisogna nemmeno vietargli di esplorare l’uscita di casa, così magari impara subito ad aprire la porta e a rotolarsi per le scale. Per non parlare dei divieti imposti dalla natura che non ti permette di volare sugli armadi come fanno le zanzare.
  • Vietato vietare (mobili): non bisogna mai impedire al bambino di aprire i mobili che vuole, anche se dovesse tirare fuori tutte le pentole. Poi tuttalpiù gli si insegna a rimetterle a posto.

Uno dei più autorevoli psicanalisti italiani, Massimo Recalcati, si è espresso con queste parole:

«Se il compito di un genitore è quello di escludere dall’esperienza dei propri figli l’incontro con l’ostacolo, con l’inassimilabile, con l’ingiustizia, se la sua preoccupazione è relativa a come spianare il terreno da ogni sporgenza per evitare l’incontro col reale, l’adulto finirà per allevare un figlio-Narciso che resterà imprigionato in una versione solo speculare del mondo».

Nella scuola delle suore, ve lo assicuro, questo lo sanno molto bene.

La disciplina

La disciplina non è il fine dell’educazione, ma sicuramente è un mezzo o, per meglio dire, è il presupposto grazie al quale l’educazione può accadere; solo rispettando i limiti dettati dalle regole per il rispetto dei compagni e dell’insegnante è possibile ricevere e trarre beneficio dagli insegnamenti, dallo stare insieme in comunità, e conoscere ciò che vale più delle regole stesse.

Un ambiente tranquillo e armonico è fondamentale affinché tutto questo possa accadere. Diversamente è solo un inutile e controproducente caos, in cui esplodono conflitti, fenomeni come quello del bullismo e gli insegnanti tornano a casa senza voce, stanchi e con un senso di vuoto e inutilità.

Al tempo stesso è importante che la disciplina non sia fine a se stessa diventando autoritarismo. Questo senz’altro è un problema che ha caratterizzato l’esperienza di alcune persone con le suore, ma anche la scuola pubblica fino ad alcuni decenni fa.

In una scuola di suore troverai più disciplina e questo è in genere preferibile al caos della scuola statale. Se poi le suore della scuola che stai valutando hanno anche carisma, sono dolci e testimoniano una grande fede e umanità, allora non puoi chiedere di meglio. Per capirlo visita l’istituto durante le attività e parla con i genitori dei bambini che già la frequentano. Io l’ho fatto, ricavandone ottime impressioni e testimonianze tutte positive.

La retorica della pace

La dirigente che ha coordinato l’open day della scuola statale ha affermato che da loro si fa l’educazione alla pace, ma poi ha proseguito dicendo:

«Educhiamo alla pace, anche se guardando cosa avviene del mondo sembra che l’educazione alla pace non è stata fatta molto bene»

È quel pensiero tanto diffuso quanto ingenuo per il quale se ci sono i femminicidi serve un’educazione alle relazioni e se c’è l’illegalità serve l’educazione civica. E magari se ci sono le rapine serve un’educazione alla proprietà privata? Ciò che sfugge a queste persone è che tra la retorica e il vissuto c’è di mezzo un oceano.

E una delle tante prove di ciò mi è stata fornita proprio da quell’open day, dati alcuni scambi provocatori e acidi tra genitori e dirigenti. Dietro un’apparenza di pace, in cui tutti si sforzavano di restare in certi limiti mantenendo una dialettica gentile, era in corso – era evidente – una guerriglia.

Se un battito d’ali di farfalla può causare un uragano dall’altra parte del pianeta, anche noi, per effetto domino, portiamo nel mondo la guerra se tra noi ci facciamo la guerra e lo contagiamo di pace se tra di noi siamo in pace.

Ma la pace non è retorica, né frutto di uno sforzo, perché la guerra nasce dal cuore, come dice Papa Francesco nel suo libro “Contro la guerra”.

La retorica della parità di genere

«Buongiorno a tutte e tutti, nella nostra scuola puntiamo molto sull’educazione delle bambine e dei bambini nel rispetto delle peculiarità di ognuna e di ognuno. Genitrici e genitori, potete stare tranquille e tranquilli perché ci prenderemo davvero cura delle vostre figlie e dei vostri figli»

Questo discorso non lo ha fatto una persona con qualche disturbo cognitivo, ma è recentemente diventato il nuovo modo di parlare nelle scuole pubbliche e non solo, nonostante l’Accademia della Crusca ha ampiamento ribadito che il plurale maschile non è marcato e perciò è la formula più inclusiva in assoluto, sottolineando che altrimenti si appesantisce inutilmente il linguaggio e, paradossalmente, si escludono coloro che si ritengono non binari.

Le parole “bambini” e “figli” abbiamo sempre inteso fossero riferite a tutti a prescindere dal sesso, non è vero? E cosa pensi ne possa capire di pedagogia ed educazione chi ritiene che questo sia un problema da risolvere e una priorità di cui occuparsi?

Nel video che ci hanno mostrato durante l’open day della scuola statale si vedeva un bambino che versava una bevanda nel bicchiere ad una bambina. Poi molta attenzione veniva dedicata al fatto che i bambini maschi pulissero il piano di lavoro dopo averlo usato.

Al termine della visione, la dirigente rimarca questi aspetti dicendo, con orgoglio e soddisfazione, che loro fanno pulire sia maschi che femmine senza fare discriminazioni.

Eppure non si è mai visto che in una scuola si chiede di pulire e mettere ordine solo alle femminucce. Quella che hanno mostrato è una finta novità.
Così come è normale che in una falegnameria gli uomini che ci lavorano puliscono la segatura che cade per terra oppure che in un ufficio un uomo ripulisce la sua scrivania senza chiedere di farlo alla collega a fianco in quanto donna. Avete mai visto il contrario?

Dunque non esiste un’ideologia da combattere secondo la quale gli uomini non devono pulire qualcosa dopo averla usata. Allora qual è il problema? La volontà di questi signori è fare speculazioni ideologiche perché, in realtà, ciò che li disturba è la più comune divisione dei compiti casalinga in ambito familiare.

Donne e uomini sono per natura diversi, e se la donna è l’unica che può generare e allattare un bambino, l’uomo ha fisicamente una maggiore attitudine per i lavori che richiedono sforzi; quindi mediamente (a maggior ragione in passato) le donne si occupano maggiormente dei bambini e della casa e l’uomo maggiormente di stare sotto il sole cocente ad asfaltare una strada.

In una società in cui non si ama più e in cui le persone hanno valore solo affermando nel mondo la propria immagine di potere, prendersi cura di qualcuno è vista come una disgrazia, per la quale urge un’immediata parità così da dividersi il suo “peso”. Un bambino è un peso, cioè non è amato già dalla nascita ed è questa la vera disgrazia.

Non capiscono che il vero problema non è nella più frequente divisione dei compiti familiari, ma nelle relazioni che sono sempre più liquide, vuote e tossiche; i problemi psicologici nei giovanissimi (e non solo) sono in costante aumento; ogni anno che passa nascono sempre meno bambini e c’è sempre più solitudine. Ma gli illuminati della pedagogia della scuola statale continuano con la vuota retorica sulla parità di genere, imperterriti, così come viene dettato dall’alto.

Dovremmo, invece, sostenere la disparità di genere (uso questa espressione in maniera un po’ provocatoria), affinché le differenze vengano valorizzate nella loro bellezza, e non cancellate nella promozione di una cultura individualista e di appiattimento dell’essere umano reso solo un automa che produce e consuma.

Significato delle tradizioni

Ricordo ancora la mia scuola elementare (statale) quando si avvicinava il Natale: un’atmosfera magica, una trepida attesa; facevamo tanti lavoretti a tema (angeli, stelle comete, ecc), cantavamo vere canzoni natalizie (“Tu scendi dalle stelle”, “Altro del ciel”, ecc) e poi la recita, bellissima, rappresentava Giuseppe, Maria, Gesù bambino, la grotta, il falegname, la lavandaia, i Re Magi, ecc.

La recita, quando venivano tutti i genitori a vederla, era un momento dolce e pieno di speranza, quasi di commozione, sulle note di quelle tenere canzoni.

La scuola statale, però, è molto cambiata negli ultimi 20 anni. Oggi uno scenario come quello descritto è quasi impensabile. Nella scuola pubblica che ho valutato, infatti, ho trovato un post su quella che chiamano “manifestazione di Natale” dal titolo “Natale in Allegria”. Suppongo in ricordo di Mike Buongiorno.

Infatti lo spiegano nello stesso post: «Queste occasioni hanno il grande merito di garantire il sorriso ed il divertimento, oltre che la spensieratezza.»
Insomma: mettiamoci una maschera sorridente addosso, distraiamoci e “non pensiamo”. Come una normale ubriacatura del sabato sera. Un cambio di paradigma totale, rispetto al passato. Le conseguenze dell’aver eliminato Gesù sono anche queste.

Ma la frase del post continua così: «Ma sono fondamentali anche per favorire lo sviluppo cognitivo, emotivo, psicologico e motorio dei piccoli scolari».
Sembra che stanno parlando di macchine più che di bambini. Sembra che hanno di fronte dei meccanismi da ottimizzare più che degli esseri umani.

E il post si conclude così: «Un momento di condivisione, di pace, di gioia, soprattutto di inclusione”.
Ancora con questa “inclusione”. Addirittura è stata più importante della gioia e della pace. Vi assicuro che quando andavo a scuola io, 20-30 anni fa, venivano inclusi tutti, sia il giorno della recita di Natale che tutti gli altri giorni. Andavo in classe con figli di carcerati, per intenderci. Un compagno era grosso e aveva gli occhiali spessi. Una compagna puzzava. E io ero timido e molto taciturno. Ma venivamo inclusi tutti, sembra così strano?
Si continuano a vantare di cose ovvie, sentendosi i nuovi eroi del nulla.

Ma torniamo al punto: alla fine cos’è il Natale? Per la scuola statale non è dato saperlo. Ho trovato un loro forum, in cui pubblicano altri contenuti, e ho letto un post in cui parlano di questa come una generica festa del rispetto che si porta dietro una serie di simbologie e leggende. Vai a vedere che la nascita di Gesù non è più un fatto storico, ma una leggenda?

Preferiscono lasciare i bambini nell’ignoranza e anche per questo non voglio mandare mia figlia in una scuola in cui il Natale non vogliono nemmeno dirti cos’è. È troppo scandaloso per loro.

Uso dei dispositivi

Nella scuola statale che ho valutato, già dall’infanzia (3-6 anni) fanno usare ai bambini i tablet, ovviamente – dicono – in modo controllato e con finalità educative. Eppure se un dispositivo possono usarlo a scuola, come giustificherai il fatto di non poterlo usare a casa?

La Società italiana di pediatria ha sottolineato che secondo diversi studi i dispositivi elettronici causano nei bambini e adolescenti seri problemi nella sfera alimentare, sessuale e fisica. È proprio il caso di promuovere un utilizzo così precoce?

Ho chiesto alla Madre Superiora della scuola gestita da suore se loro fanno utilizzare dispositivi e mi ha risposto che sono vietati ovunque e che se qualcuno pensa di portarne uno a scuola se ne va da un’altra parte.

D’altra parte se gli amici di tuo figlio lo hanno (come più probabile nella “tollerante” scuola pubblica), come potrai spiegargli che proprio lui non deve averne uno, sentendosi così un disadattato? Torniamo così alla questione “coetanei” e alla questione “disciplina” su cui una scuola paritaria a impostazione cattolica prende più a cuore il bene di un bambino evitando anche di metterlo già a 3 anni davanti a uno schermo.

Rapporto numerico insegnante-bambini

Nella scuola pubblica si parte da un rapporto 1:20 per arrivare a 1:30, da quanto ho saputo. Nel privato abbiamo visto una o due maestre ogni 10 bambini. È un aspetto molto importante, quello di essere seguiti e non inevitabilmente abbandonati a se stessi in certi momenti.

Inoltre è molto meno probabile ammalarsi quando le classi sono meno numerose.

Costi

Ovviamente una scuola paritaria costa molto di più rispetto a una statale che è quasi gratuita, ma alla luce di tutte queste considerazioni ne vale assolutamente la pena.

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