Anche Benito era un uomo, anche Clara aveva un cuore

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Gli viene fatto cenno di dirigersi verso il cancello. Sembra smarrito, Claretta piange.

Un partigiano lo sospinge verso l’inferriata e pronuncia la sentenza: “Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano” e, rivolgendosi a Claretta che in lacrime si aggrappava all’amante: “Togliti di lì se non vuoi morire anche tu”.

Con il mitra scarica una raffica mortale di cinque colpi sull’ex capo del fascismo. Clara Petacci è colpita e uccisa anche lei.

I corpi furono esposti a testa in giù a Piazzale Loreto. Ci volle la mano pietosa di un prete, don Pollarolo, per far cessare le urla di scherno e chiudere con una spilla la gonna di Claretta che, caduta verso il basso, la mostrava priva di mutande.

L’edizione locale del l’Unità, il giorno seguente, riporta il fatto con questo titolo a tutta pagina: “Mussolini e i suoi accoliti giustiziati dai patrioti nel nome del popolo”; mentre l’edizione nazionale del 1º maggio riporta in prima pagina un’intervista col partigiano – di cui non viene fatto il nome – che “ha giustiziato il Duce”, intitolata: “Da una distanza di 3 passi sparai 5 colpi a Mussolini”.

Tutti abbiamo un cuore. Anche Clara Petacci lo aveva e in quel momento lo ha visto così bene che ha trovato la morte per provare fino all’ultimo a difendere il suo amato. Anche Benito Mussolini aveva un cuore e, come tutti, nel profondo, aveva solo bisogno di amare ed essere amato.

Essere contrari alla pena di morte, oggi, ed essere contrari all’ergastolo, al 41-bis e addirittura al carcere, dovrebbe voler dire riconoscere la sacralità di ogni vita umana, a prescindere dalle azioni compiute.

Difatti siamo molto di più delle nostre azioni. Tutti facciamo errori e chi ne ha commessi di più o di più gravi lo ha fatto sempre in circostanze ben diverse da chi ne ha commessi di meno o meno gravi. Sentirsi buoni è facile.

La contrarietà alla pena di morte è spesso, come tante, una mera ideologia che si ha nella testa ma non nella pelle, come direbbe Gaber. Si può sostenerla perché oggi fa sempre comodo il potere di chi appare più buono, ma al tempo stesso si può scherzare e mimare con soddisfazione un uomo ucciso e ridicolizzato in piazza, appeso a testa in giù, grazie alla licenza antifascista.

C’è un esercizio che ci permette di capire se crediamo veramente alle nostre idee buone: ci commuoviamo di fronte alla condanna a morte o all’ingiustizia inflitta al nostro peggior nemico o alla persona che ha commesso più errori al mondo? Ci commuoviamo per l’ultimo gesto di Claretta?

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